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Operatori sanitari messi a tacere o licenziati per aver chiesto condizioni di sicurezza migliori durante la pandemia

by Romano Franco

E’ un clima di terrore quello che si respira tra datore di lavoro e dipendente, un rapporto che ricorda più quello di schiavo-padrone che di datore impiegato.

La figura del lavoratore è stata da tempo denigrata e martoriata in Italia da contratti di lavoro precari e da licenziamenti, non più giustificati grazie all’abolizione dell’Art. 18, mosse fatte in nome di una crisi creata da altri.

Tralasciando il fatto che le potenti banche e l’alta finanza, molto spesso e volentieri, cambiando l’ordine delle regole generano crisi grazie a gestioni superficiali che puntano al massimo profitto e rischio e che gli operai ne debbano fare le spese, con leggi da terzo mondo per attirare investitori stranieri che sfruttano i lavoratori italiani, ma alcune situazioni lavorative in Italia sono da oltre la denuncia.

L’ultimo episodio riguarda le operatrici, gli operatori sanitari e sociosanitari impiegati nelle strutture residenziali per anziani che avevano segnalato le precarie e insicure condizioni di lavoro durante la pandemia da Covid-19.

Dopo aver passato una pandemia in pieno pericolo e dopo essere state tra le prime vittime di covid avutesi, queste persone sono state sottoposte a procedimenti disciplinari iniqui e sono andati incontro a ritorsioni da parte dei datori di lavoro.

Invece di affrontare le criticità sollevate, come quelle sull’uso dei dispositivi di protezione individuale e sul numero dei contagi nelle strutture residenziali, i datori di lavoro hanno imposto il silenzio, effettuato licenziamenti ingiusti e adottato misure antisindacali.

“Operatrici e operatori sanitari e sociosanitari delle strutture residenziali sono stati in prima linea nella lotta contro la pandemia da Covid-19 e sono stati elogiati dal governo italiano per il duro lavoro svolto in condizioni terribili. Tuttavia, queste stesse persone sono state ridotte al silenzio dai loro datori di lavoro quando hanno cercato di esprimere preoccupazione sul trattamento degli ospiti anziani e sulla propria sicurezza”, ha dichiarato Marco Perolini, ricercatore di Amnesty International sull’Europa occidentale.

Tra febbraio e agosto l’Ong ha parlato con 34 tra professioniste e professionisti nonché operatori e operatrici in servizio nelle strutture residenziali durante la pandemia da Covid-19, così come con avvocati, esperti del settore e sindacalisti.

Ne è emerso un quadro di un settore ad alta presenza femminile (circa l’85 per cento del totale) e sotto alta pressione a causa della mancanza di personale, degli stipendi bassi e delle pericolose condizioni di lavoro: il tutto, nel contesto della peggiore pandemia degli ultimi 100 anni.

La pandemia ha colpito duramente il personale delle strutture residenziali. Secondo dati ufficiali, il 65.6 per cento dei lavoratori e delle lavoratrici che hanno contratto il Covid-19 in Italia, nonché quasi un quarto dei deceduti, erano all’interno di tali strutture.

Molti avvocati hanno riferito oltre dieci casi di procedimenti disciplinari e di licenziamenti, riguardanti anche rappresentanti sindacali che avevano denunciato la mancanza di adeguate misure sanitarie e di sicurezza in varie strutture residenziali sia pubbliche che private.

“Marco”, un altro operatore sociosanitario che lavora in una struttura residenziale privata, ha dichiarato: “Le cooperative e le strutture residenziali pubbliche hanno messo la museruola alle persone che hanno denunciato o parlato con la stampa”.

La legge sul “whistleblowing”, entrata in vigore in Italia nel 2017, protegge coloro che hanno denunciato irregolarità sul posto di lavoro.

Tuttavia, non garantisce un’adeguata protezione per quanto riguarda la riservatezza e l’indipendenza nel settore privato, che gestisce il 73 per cento delle strutture residenziali in Italia. Le autorità italiane devono proteggere tutti gli operatori sanitari e sociosanitari nelle strutture del settore privato.

Le persone morte nelle strutture sanitarie sono molteplici e secondo le stime in Italia, nei primi mesi della pandemia, l’8,5% dei morti totali in Italia proveniva proprio da Rsa, molte di queste sprovviste delle dovute misure di sicurezza e igieniche.

Nel dicembre 2020 Amnesty International aveva evidenziato il fallimento delle autorità italiane nell’implementare politiche adeguate a proteggere le persone anziane nelle strutture residenziali e in particolare i loro diritti alla vita, alla salute e a essere liberi dalla discriminazione.

“È fondamentale che il parlamento italiano istituisca una commissione indipendente d’inchiesta in modo da apprendere dalle lezioni del passato, prevenire errori come quelli commessi in precedenza e assicurare giustizia per tutte le morti che potevano essere evitate e a coloro che sono stati ingiustamente sottoposti a ritorsioni”, ha sottolineato Debora Del Pistoia, ricercatrice di Amnesty International Italia.

Se la campagna vaccinale, che ha dato priorità alle persone all’interno delle strutture residenziali, al personale sanitario e sociosanitario, ha ridotto la morbilità e la mortalità tra gli anziani e tra coloro che operano all’interno di tali strutture, i problemi che affliggono da tempo questo settore (salari bassi, impiego prevalentemente femminile, condizioni di lavoro precarie) rimangono irrisolti.

In Italia c’è una mentalità parecchio diffusa in alcuni datori di lavoro di credere che, dando un impiego, si diventi di diritto proprietari della vita dei propri dipendenti. E’ una storia che deve finire, perché, se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, l’oppressione e l’imposizione della schiavitù facendo leva sul bisogno altrui è una mossa infame e non può essere in alcun modo tollerata in una società onesta e giusta che si batte per i diritti degli altri Stati.

Le autorità italiane devono assicurare che le voci di queste lavoratrici e di questi lavoratori siano ascoltate. Il bavaglio posto a operatrici e operatori sanitari e sociosanitari nelle strutture residenziali italiane fa parte di un’allarmante tendenza mondiale di violazione della libertà di espressione durante la pandemia da Covid-19.

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