Dopo la maxi inchiesta antimafia della Dda denominata “Piramidi” si è proceduto al sequestro di beni dei due personaggi coinvolti in un procedimento giudiziario.
E così sono passati al controllo dello Stato quasi tutta la titolarità delle imprese di Nino Paratore e del figlio Carmelo.
Le proprietà dei due imprenditori coinvolti andavano dalla gestione di un lido catanese al campo dei rifiuti con l’azienda Cisma.
I Paratore sono ritenuti dagli investigatori i prestanome o il braccio economico del boss detenuto, Maurizio Zuccaro, esponente di punta della famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano, nonché cognato di Enzo Santapaola, figlio di Turi.
Dunque anche Zuccaro è stato coinvolto nel provvedimento emesso dal Tribunale, però con una misura di prevenzione personale.
E’ contenuto nel decreto di sequestro il ruolo di enorme pericolosità criminale rivestito dell’uomo d’onore, Maurizio Zuccaro che è stato condannato con sentenze ormai definitive per gli omicidi di Salvatore Vittorio, Vito Bonanno e quello di Gino Ilardo.
Per tale motivo il boss è detenuto in regime di alta sicurezza e, qualche anno fa, è stato coinvolto nell’inchiesta Zeta in cui emergeva il dominio degli Zuccaro a San Cocimo, zona di Catania adiacente a piazza Machiavelli.
Sulla base delle dichiarazioni di una serie collaboratori di giustizia si è potuto comprendere sino in fondo lo spessore criminale e la conseguente ascesa ai vertici mafiosi di Maurizio Zuccaro.
Adesso, i pentiti, hanno ricostruito gli interessi coltivati dal boss di Cosa nostra a partire dal settore dei rifiuti sino alla cooperativa che si occupa di pulizie negli ospedali. Emerge la figura di Eugenio Sturiale che ha aperto il filone degli stabilimenti balneari.
“Zuccaro” sarebbe, secondo i magistrati, “il proprietario occulto dei beni intestati ad Antonino Paratore quali il Lido le Piramidi”.
In particolare, ci sono anche collaboratori di giustizia che hanno messo in luce questo rapporto fortissimo e solido tra il capomafia e gli imprenditori.
“Tutti sapevano che Paratore era legato allo Zuccaro”, ha spiegato il pentito Giuseppe Mirabile. Mentre Santo La Causa, ex reggente di Cosa nostra, fornisce ampi chiarimenti su questo stretto “rapporto”, che i magistrati hanno sintetizzato in tal modo: “Antonino Paratore si sarebbe aggiudicato un appalto di pulizia presso l’ospedale Vittorio Emanuele di Catania e che era in rapporti di affari e di amicizia con Maurizio Zuccaro in quanto aveva fatto da padrino al figlio di quest’ultimo, Saro. Successivamente Paratore aveva diversificato i propri affari entrando nel giro dei rifiuti”.
Poi, segue questa affermazione esplicita: “Ogni attività che apre (Paratore) la fa in società con Maurizio Zuccaro”.
Quest’ultimo avrebbe diretto e organizzato un incontro “finalizzato a chiarire quale fosse la destinazione della quota da versare da parte del Paratore per la gestione della discarica di Lentini”.
La Dia ha avviato un’indagine a 360 gradi in modo da arrivare ad un riscontro delle dichiarazioni dei pentiti.
Sugli affari “illeciti” dei Paratore esiste un report della Gico che ha effettuato un’ analisi dettagliata e puntuale dei documenti amministrativi e contabili delle imprese e della ditta che si occupava dei servizi di pulizia negli ospedali. Poi esistono intercettazioni di colloqui in carcere e delle telefonate del figlio del boss, Saro in cui esprime una certa “familiarità” tra Zuccaro e Paratore che viene chiamato zio Nino.
Sulla base di questo ampio corredo di prove presentato dalla procura e dalla Dia ai giudici di prevenzione è emerso nitidamente che “Zuccaro ha consentito a Paratore di rendersi aggiudicatario di appalti nel settore delle pulizie negli ospedali”, non fermandosi soltanto a questo bensì “ha seguito l’intera escalation economico-imprenditoriale della famiglia Paratore”.
Pertanto, il Tribunale ritiene che “la nascita e l’evoluzione delle aziende Paratore non appare finanziata con canali ufficiali di finanziamento e vi sono gravi indizi per ritenere che le stesse siano state finanziate con denaro di provenienza illecita profitto delle attività criminose poste in essere da Maurizio Zuccaro fino all’anno 2010. Così facendo Nino e Carmelo Paratore potevano accedere a linee di credito di provenienza illecita senza sostenere i relativi costi, sbaragliando così, di fatto, gli imprenditori concorrenti” e si prosegue affermando “il vantaggio che le attività nel settore dei rifiuti gestite da Paratore avrebbero tratto dalla vicinanza allo Zuccaro è quello di aver goduto della protezione di quest’ultimo nella gestione degli affari, di avergli consentito di non versare la quota di spettanza all’organizzazione Santapaola, almeno fino alla morte di Angelo Santapaola”.
Di converso Zuccaro avrebbe goduto del vantaggio di “rimettere nel circuito della legalità un’enorme quantità di disponibilità finanziarie” del clan.
Cosicché per i magistrati si sarebbe realizzata “una sorta di cointeressenza di interessi dell’organizzazione mafiosa a riciclare denaro e dell’imprenditore a perseguire i propri programmi imprenditoriali avvalendosi dell’appoggio della consorteria criminosa per la conclusione dei proprio affari”.
In ogni caso la pericolosità sociale dei Paratore secondo gli inquirenti si sarebbe sostanzialmente arresta nell’anno 2010.
Successivamente, questo enorme impero finanziario da 100 milioni di euro è stato affidato per garantire una continuità “imprenditoriale” a Francesco Carpinato, che era già stato chiamato in causa dal gip nell’inchiesta Piramidi, e a Salvatore Belfiore.
Il provvedimento che viene emesso dal Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione, composto dalla presidente Maria Pia Urso, dalla giudice Daniela Monaco Crea e dal giudice relatore estensore Anna Scirè è originato da una richiesta della procura e in particolare dal pm Fabio Regolo che si occupa del settore delle misure di prevenzione anche in conseguenza di una metodica e lunga indagine patrimoniale svolta dalla Dia di Catania. In tal senso si ha notizia che la prima udienza per “la trattazione del procedimento” è stata fissata per il 23 febbraio 2022.
Il decreto è assai corposo con ben 116 pagine in cui vengono analizzate le indagini patrimoniali che in gran parte si intrecciano ad aspetti che richiamano gli assetti affaristici della famiglia Santapaola-Ercolano. A tal proposito il capo centro Mosca della Dia ha detto: “Questa è un’inchiesta che abbraccia 40 anni di storia di Cosa nostra”.