Un processo durato dieci anni quello relativo all’ex senatore di Forza Italia, Antonio D’Alì che adesso in appello viene condannato dalla Corte d’Appello a 6 anni in concorso esterno e l’accusa è gravissima: “Era a disposizione dei Messina Denaro-ha detto il procuratore generale Rita Fulantelli”.
“E’ stato il politico a disposizione dei Messina Denaro, prima del vecchio don Ciccio e poi del figlio Matteo, tuttora ricercato”.
Quella del magistrato è stata una requisitoria che è durata due ore in cui aveva richiesto la condanna a 7 anni e 4 mesi. Infine è giunta questa condanna a 6 anni e l’interdizione per 3 anni dai rapporti con i pubblici uffici. Si attendono le motivazioni che saranno depositate entro 90 giorni.
Si trattava del processo d’Appello bis che ha avuto inizio dopo l’annullamento nel gennaio 2018 della Corte di Cassazione del precedente giudizio di assoluzione e della prescrizione per i fatti precedenti al 1994.
Si fa il termine di paragone con la nuova riforma Cartabia e se fossero in vigore le norme sulla prescrizione, la sentenza non sarebbe stata pronunciata perché sarebbe già stato superato il limite di 3 anni previsti dal disegno di legge della ministra per reati di mafia.
“Con il suo operato ha consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa Nostra – ha spiegato il pg durante il suo intervento – mettendo a disposizione le proprie risorse economiche e successivamente il proprio ruolo istituzionale di Senatore della Repubblica e di Sottosegretario di Stato”.
D’Alì fu eletto per vent’anni al Senato a partire dal 1994 e rieletto con sostegni elettorali massicci nel suo feudo elettorale di Trapani.
Oggi D’Alì ha 69 anni e non svolge attività politica, recentemente la Corte di Cassazione ha confermato la revoca della misura di prevenzione dell’obbligo di dimora nella sua città, dopo un anno di effettive limitazioni.
Molti i fatti che sono stati sviscerati nelle carte processuali e in particolare c’era la vicenda della ‘Calcestruzzi Ericina’, l’azienda confiscata al boss Vincenzo Virga, ed il trasferimento del prefetto Fulvio Sodano, ratificato in Consiglio dei Ministri l’1 luglio 2003.
L’accusa rileva che l’obiettivo di Cosa Nostra, proprio tramite D’Alì, era quello di “estromettere la Calcestruzzi Ericina attraverso escamotages” e “condizionare il mercato del calcestruzzo” in favore delle imprese vicine, per “svuotare l’Ericina”, sino al punto che un imprenditore amico l’avrebbe acquisita “con la benedizione della Prefettura, ma l’opposizione di Sodano che bloccò tutto”.
Ci fu anche il tentativo di allontanare il capo della Squadra Mobile di Trapani, Giuseppe Linares che fu poi trasferito nel 2010.
Sul trasferimento poi del prefetto Sodano i giudici hanno sentito tre testimoni di spessore come l’ex ministro Beppe Pisanu, l’ex presidente della Regione Siciliana Totò Cuffaro ed il prefetto Carlo Mosca, capo di gabinetto di Pisanu.
Queste deposizioni non avevano convinto la Procura generale, né la corte d’Appello, che ha disposto anche la trasmissione dei loro interrogatori alla Procura per falsa testimonianza.
I magistrati interrogarono anche il prefetto Sodano, che all’epoca era dotato di una mobilità ridotta a causa di una grave malattia e che poi morirà nel febbraio 2014.
“Mi rivolsi al Presidente della Regione (Cuffaro) chiedendogli di accertare il vero motivo del trasferimento, dopo qualche giorno lo stesso mi riferì che si era fatto ricevere da Pisanu il quale gli aveva detto che dopo aver resistito alle pressioni del D’Alì alla fine aveva dovuto cedere alle insistenze del sottosegretario che pur sempre era uno dei suoi più stretti collaboratori”, disse Sodano nell’ aprile 2007.
La Corte si è avvalsa anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonino Birrittella, che ha riferito dell’intervento di D’Alì in diversi appalti pubblici, tra cui quelli relativi al rifacimento del porto di Trapani, che condussero alla Louis Vuitton Cup, e poi le procedure in favore del Consorzio Trapani Turismo, formato da imprenditori sfiorati da indagini antimafia.
Mentre per l’ex collaboratore di giustizia, Giovanni Ingrasciotta, la procura generale, al termine della requisitoria, ha chiesto la trasmissione degli atti per falsa testimonianza.
Infatti nelle fase di indagini aveva parlato dei rapporti tra D’Alì e Matteo Messina Denaro, raccontando anche di un incontro tra i due, successivo al periodo delle Stragi, poi invece nel corso della sua audizione ha glissato ad alcune domande, rispondendo con molti “non ricordo”.
“Purtroppo signor procuratore, nella vita sa com’è? – ha dichiarato in aula riferendo anche di presunte minacce subite in seguito alle sue dichiarazioni su D’Alì.
Ci sono momenti che nella vita uno non si ricorda neanche come si chiama, come adesso”. E così anche il suo interrogatorio sarà trasmesso per falsa testimonianza alla Procura di Palermo.
Su questa condanna è intervenuta l’avvocata di D’Alì, Arianna Rallo, dicendo che quest’ultima sentenza “desta profonda sorpresa” perché, sottolinea che “tutte le acquisizioni probatorie di questo giudizio di rinvio hanno rinforzato la tesi difensiva e avvalorato la correttezza delle motivazioni del gip del Tribunale di Palermo”.
Rallo aggiunge che “nel doveroso rispetto che attribuiamo ad una decisione giudiziaria, attendiamo le motivazioni per comprendere quale sia stato l’iter logico-argomentativo che ha condotto la Corte di Appello ad una diversa valutazione dei fatti e se lo stesso possa dirsi esente da vizi di legittimità, giustificanti ovviamente il ricorso per cassazione. Peraltro, la recentissima statuizione della Corte di Cassazione, dello scorso 17 giugno, che ha irrevocabilmente giudicato ingiusto e illegittimo che Antonio D’Alì sia stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale da parte del Tribunale di Trapani, deponeva certamente per una valutazione dei fatti corrispondente alla prospettazione difensiva”.