Il terzo proclama presidenziale conduce il paese verso una nuova crisi.
E’ ricominciata all’ora del pranzo pomeridiano domenicale la gravidanza isterica dei Decreti Presidenziali. L’escalation è proporzionale all’aumento delle preoccupazioni delle autorità sanitarie, quelle che tengono sotto monitoraggio il flusso aggressivo del Virus e la reazione del sistema sanitario nazionale.
All’interno del Consiglio dei Ministri è trapelato il duro scontro fra tendenze diverse, fra chi ritiene necessaria una stretta definitiva del paese e fra chi vorrebbe mantenere misure di contenimento blande scongiurando coprifuochi e lockdown.
Il punto è che nonostante siano passati mesi importanti e che la previsione della seconda ondata era conclamata nel paese la sensazione che ci si trovi dinnanzi a dei ritardi rendono la popolazione meno disponibile ad accettare supinamente un’altra stretta che colpisca le categorie produttive e direttamente lavoratori e famiglie per solidarizzare con i nuovi contagiati.
Il dilemma fra la scelta economica e quella sanitaria si ripropone in forme diverse perché rispetto agli scorsi mesi si è misurata la capacità di poter convivere con il coronavirus e nonostante la riaccensione dei focolai per milioni di cittadini la consuetudine nel rispettare le norme ha rappresentato la normalità.
Per questa ragione l’accelerazione delle misure restrittive appare un fulmine a ciel sereno posto che la vulgata corrente della propaganda governativa si è molto concentrata sulla necessità di far ripartire “in sicurezza” il paese. Dopo sei mesi si è dovuto prendere atto che così non è stato; siamo in presenza di un rischio collasso delle nostre strutture sanitarie che determina un grave disagio e rischio per milioni di pazienti affetti da altre patologie, che le misure messe in campo per effettuare i tamponi si sono rilevate insufficienti, che l’idea di valutare attraverso il sistema di controllo attraverso i telefoni dei cosiddetti “asintomatici” è miseramente fallita.
“Nessuno è infallibile” ha candidamente ammesso il Presidente del Consiglio. Nei mesi scorsi la sicurezza con la quale si è presentato all’opinione pubblica evidentemente aveva fatto credere che egli fosse assolutamente all’altezza della situazione e che il Governo all’unisono era talmente coeso e che le risorse fossero talmente sufficienti che persino, sdegnosamente, ci siamo permessi di rifiutare e non accedere al sostegno generoso della Comunità europea che avrebbe in parte alleviato i costi di un bilancio sempre più pericolante ed un prodotto interno lordo tendente al ribasso.
Di fronte ai primi vagiti di proteste scomposte ed eterodirette da settori fanatici e dal contenuto eversivo è evidente che è iniziata una preoccupazione di fondo, ovvero che la protesta possa ingigantirsi ed allargarsi a settori della società in preda alla rabbia ed alla disperazione.
D’altronde Ribellione e Pandemia sono andate a braccetto anche nei secoli scorsi.
Ciò che appare non fuori controllo ma sicuramente in crisi è la coesione politica nazionale, all’interno della maggioranza parlamentare e fra la maggioranza e l’opposizione. Nessuno sarà più disposto a fare sconti e oramai è evidente che i dividendi politici della pandemia non vengono più distribuiti fra chi governa ma fra chi oggi muove scetticismo verso le misure assunte e verso chi vi si oppone senza appello, abbandonando lo spirito di unità nazionale che il Governo non ha saputo interpretare e né ha ricercato convinto che la seconda ondata potesse essere padroneggiata.
Si vive quindi la navigazione a vista ma questa volta portare in porto la nave sarà complicato così com’è difficile che il comandante possa ricavarne un utile politico. Dichiarata ed enfatizzata l’emergenza per mesi ora che l’emergenza è arrivata sul serio difficile sarà uscirne senza scossoni politici.