Il chiarimento è stato fatto, anche se le differenze abissali restano. E così, il diverbio acceso da Giorgetti che mette in imbarazzo il suo Capitano davanti a tutta Italia, è finito con un ‘Mea culpa’ e con un inevitabile marcia indietro da parte del vice segretario della Lega.
Anche se la resa dei conti è in attesa dell’assemblea di dicembre, per il momento c’è una tregua armata e il Capitano, essendo ancora il Segretario, ha ribadito il suo diritto a decidere la linea del suo partito.
In poche parole fino a dicembre, nella Lega, comanda Salvini e a ribadirlo è la sua stessa dichiarazione: “Io ascolto tutti e decido, come sono solito fare sempre”, aveva annunciato il Segretario prima del consiglio federale del partito, convocato 24 ore prima.
Il Capitano parla per quasi 50 minuti, secondo le fonti, e rimarca l’esigenza di essere compatti e stare sui fatti. “Mi interessa parlare di flat tax o bonus ai genitori separati. Mi appassionano i temi concreti. Non altro”, insiste.
Secondo il Capitano, “la visione della Lega è vincente”, nonostante la batosta presa alle amministrative e il sorpasso senza freccia di Giorgia Meloni, per la leadership di destra.
Poi il partito, compreso lo stesso Giorgetti, esprime “totale fiducia nell’attività, nella visione e nella strategia del leader”.
Non è solo una questione di fiducia per la Lega, é quasi una questione di assoluta devozione quella che accomuna i leghisti, poiché, difficilmente senza Salvini si sarebbe arrivati a rappresentare così tante persone.
Sebbene gli italiani debbano poco o niente al Capitano della Lega, gente come Giorgetti deve il suo ruolo e la sua posizione al suo leader; senza di esso, non sarebbe mai arrivato lì dov’é ora, nonostante la sua credibilità internazionale, più volte ribadita dallo stesso Giorgetti, quasi a voler sminuire il Segretario della Lega, rimasto molto vicino agli emarginati della politica internazionale: Orban, Trump, Bolsonaro e Putin, unica eccezione di questo gruppo.
Ma il concetto pare chiaro e per il leader comunque l’obiettivo sembra centrato: ribadire a tutti che la linea del partito di via Bellerio la dà lui, non altri. Dalle tasse al lavoro, che si vuole difendere nella manovra, fino al neo gruppo sovranista da costruirsi in Europa.
Quindi, non si tratta di pace o di un cambiamento di rotta da parte di Giorgetti, ma è solo una resa dei conti da rimandare fino a quando nell’assemblea programmatica prevista l’11 e 12 dicembre (con parlamentari, governatori, sindaci, esponenti di governo ed eurodeputati), si tireranno le somme sulla linea strategica del partito. Salvini la definisce un’occasione per “sancire, aggiornare e decidere i binari su cui viaggiamo”, ma vi è molto di più di ciò.
Salvini, dopo aver perso lo scettro a destra, rischia di perdere anche il suo stesso partito, che ha portato a decuplicare il suo risultato elettorale da quando vi è lui al potere.
Ma oltre alle questioni irrisolte, nel consiglio si discute di manovra e il massimo impegno sul taglio delle tasse: “9 miliardi per regalare redditi di cittadinanza a furbi ed evasori non è rispettoso per chi fatica e lavora – arringa i suoi Salvini – interverremo in Aula per dirottare sul taglio delle tasse una parte di quei miliardi”.
E ammonisce pure sull’Europa: “Il Ppe non è mai stato così debole, è impensabile entrare nel Partito popolare anche perché è subalterno alla sinistra. E noi siamo alternativi alla sinistra”.
Con questa ultima dichiarazione non lascia più dubbi, il Ppe non è nei progetti del Capitano e se a Giorgetti non sta bene la resa dei conti è dietro l’angolo.