Che nulla sarebbe stato più “come prima” fu la consapevolezza che molti avvertirono all’inizio della crisi pandemica, una rivoluzione non prodotta dalla volontà dell’uomo di cambiare lo stato delle cose ma semmai dall’istinto della sua sopravvivenza.
Parametri e paradigmi dell’organizzazione della società e della stessa conoscenza venivano messi a soqquadro dalle ondate del nemico invisibile che però era in grado di annientare l’essere umano; per questa ragione all’unisono gli Stati ed i potenti hanno sempre fatto riferimento alla lotta di contrasto della diffusione del corona come una vera e propria guerra.
E come le guerre hanno cambiato gli assetti delle società, i livelli economici, i rapporti sociali inevitabilmente si sono modificate le politiche, le ideologie e le organizzazioni democratiche che su di esse si reggono.
La Globalizzazione che aveva mostrato i suoi vantaggi e le sue contraddizioni si è clamorosamente inverata nel caso della pandemia ed è posta oggi di fronte ad una grande prova di resistenza o, per dirla nel termine iper-abusato, resilienza.
Le frontiere del sovranismo ad ogni costo vengono abbattute dal virus ma al contempo la globalizzazione disordinata, conflittuale ha rimesso nuovamente in movimento le resistenze identitarie e gli spiriti di sopravvivenza nazionalisti e populisti.
D’altronde, se nella prima fase della pandemia sembrava che le grandi potenze del Mondo, seppur in forme diverse, potessero prendere per mano la difficile transizione della crisi sanitaria, alla lunga l’illusione di poter trasformare e riqualificare la globalizzazione ripristinando il multilateralismo politico, economico e quindi sanitario con la vicenda dei vaccini è totalmente saltata per aria.
Non si spiegherebbero d’altronde le prime mosse dell’amministrazione americana che appaiono dettate dalla volontà di riacquistare la leadership perduta sferrando i primi contundenti attacchi contro le superpotenze economiche e politiche che sono emerse con tutta la loro efficacia durante i mesi della crisi: la Russia e la Cina.
L’Europa, regge il terreno sulla forma e ha sviluppato una capacità di resistenza e di azione ma soffre maledettamente della fragilità politica delle sue nazioni-guida Germania in testa. Sono in crisi gli assetti istituzionali in diverse nazioni, riaffiorano nuove preoccupanti destre ad est come nel mediterraneo e la minaccia di una crisi economica di lunga durata spacca trasversalmente le classi sociali, i gruppi economici e produttivi frustrati per la lunga attesa dei sussidi pubblici mentre il potere politico si dilania a destra come a sinistra sulla capacità di dare seguito e speranza ai propri presupposti programmatici ed ideologici devastati dalla dirompenza dei cambiamenti posti dalla Pandemia in atto.
Per questa ragione la “tregua” appare l’unica risorsa disponibile sul piano politico la condizione di guerra posta dalla situazione in atto. E ripensare le politiche, riqualificando, aggiornando, riformando e rivedendo le proprie convinzioni è l’unico presupposto per cercare di dare alla crisi in atto delle risposte possibili.
Il caso italiano necessita più che di ripristinare una dialettica democratica tradizionale impostata sul simulacro del crinale destra-sinistra sarebbe necessario analizzare le conseguenze generate dal vuoto politico prodotto dalla debolezza della gestione del Governo Conte nella Pandemia e delle relative deflagrazioni politiche interne che quella debolezza ha prodotto aprendo lacerazioni a catena nelle singole formazioni politiche e più in generale nel sistema istituzionale italiano che ha dimostrato le sue lacune, i suoi ritardi le sue incompiutezze datate da innumerevoli anni.
Un sistema politico e partiti fragili non possono certamente produrre le certezze necessarie ad un paese che vissuto impanicato nella sindrome del Virus; aggrappato come è stato per mesi, ai vaticini dell’espertocrazia che ha mandato messaggi contraddittori su tutte le fasi che hanno segnato l’epoca pandemica: sulla natura letale del virus, sull’azione di contrasto sanitario, sulle politiche per impedirne la diffusione e infine persino sull’efficacia dei vaccini che sono stati prodotti per immunizzarsi; questione ultima che generato un’enorme lotta di potere fra le grandi multinazionali del farmaco e fra gli stessi stati.
Di fronte a questi enormi dilemmi politici, economi e sociali è assai difficile prevedere il ritorno alla normalità in un tempo breve, è assai difficile non valutare come il procrastinarsi del periodo di incertezza apra le porte ad altre crisi meno controllabili di un tempo, perché imprevedibili e perché dettate dalla reazione umana incontrollata verso la quale la politica può agire ma solo parzialmente. Che il periodo di tregua serva a fare consapevolezza della immane catastrofe di fronte alla quale siamo stati posti e che determini le condizioni migliori per rigenerare, mantenendo saldi principi e valori più limpidi delle tradizioni democratiche, nuove forme di aggregazione politica che determinino le basi di una ripresa e di una ricostruzione esattamente come avvenne nel dopoguerra. Ispirando una fiducia che è dura in questo momento ad acquisire ma incoraggiando gli sforzi di chi si è posto con un approccio non convenzionale alle sfide poste in atto dalla pandemia.