A Bari, in via Melo, in due stanze degli uffici della direzione del Cassa di Risparmio di Puglia, Vittore Fiore con pochi collaboratori redigeva la rivista “Delta”. Una testata dell’azienda bancaria che ha rappresentato per un decennio del secolo scorso un utile confronto di economia bancaria e creditizia regionale. Un punto di riferimento per l’imprenditoria innovativa degli anni Ottanta, i cambiamenti istituzionali, le culture d’impresa, le ricerche tecnologiche, la gestione delle risorse e le relazioni sindacali.
E direttore più competente non poteva essere scelto: per la illimitata conoscenza del Mezzogiorno, per i legami con gli uomini delle regioni meridionali, per essere uno studioso che raccordava il Sud all’Europa secondo la lezione di Ugo La Malfa.
Tuttavia Vittore Fiore non aveva un carattere accomodante, oggi diremmo era socievole, non social sugli smartphone. Il figlio di Tommaso piuttosto era un maestro dell’antifascismo, uno studioso di letteratura latina che polemizzò con Gramsci, Rosselli, Salvemini e Croce e seppe raccogliere dagli insegnamenti paterni le forme intransigenti della lotta politica non compromessa con il fascismo delle parate in camicia nera che illuse i giovani, delle facili vittorie con l’alleato nazista al sole delle coste greche e della disumana ritirata di Russia.
Vittore Fiore fu un insieme di curiosità, di letture che gli dettero spessore per definire ”una scelta di vita” autonomamente elaborata. Il saggio “La generazione degli anni difficili” edito da Laterza comprende le testimonianze dei quarantenni del 1960. Tra queste, il vissuto di Vittore che alla caduta del fascismo aveva 23 anni e nell’anno delle Olimpiadi romane e delle manifestazioni popolari di luglio contro il governo Tambroni aveva compiuto quarant’anni.
Alla caduta del regime di Mussolini, la famiglia Fiore già aveva conosciuto carcere, confino, ammonizioni. La scelta dell’impegno antifascista, lacerante per ottenere una società libera e democratica, fu pagato dalla famiglia Fiore con l’uccisione del più giovane dei fratelli, Graziano. Quando l’esercito di Badoglio soffocò, sparando, una pacifica manifestazione a sostegno dei detenuti liberati dal carcere barese il 28 luglio del ‘43, Vittore ebbe il pietoso compito di identificare il cadavere del fratello tra le vittime.
Gli anni compresi tra il 1943 e 1947 fu il periodo, per il giovane intellettuale, di massima visibilità militante. Vittore partecipò, senza tregua, alla rinascita e alla conoscenza di quelle aree meridionali descritte dal padre e da Guido Dorso per Piero Gobetti e successivamente per Carlo Rosselli.
Il dopoguerra pugliese fu invece un fenomeno politico, imprenditoriale, e sociale complesso in una regione segnata dal fascismo e dalle indelebili violenze squadriste che avevano decretato l’assassinio del parlamentare socialista Giuseppe Di Vagno.
Un patto colonico provinciale (30 novembre 1944), approvato a Foggia dall’agrario Pavoncelli e da Giuseppe Di Vittorio, segretario della ricostituita Cgil, fu annullato per via del rifiuto dell’associazione degli agrari. Intanto il diffuso malessere popolare per la scarsità dei prodotti alimentari generava sommosse domate dalla polizia con feriti e lunghe detenzioni per gli arrestati. La insufficienza popolare organizzativa riscontrata a Bari nei giorni della caduta del Duce, riconosciuta tra l’altro nelle ricerche della storica salentina Cosima Nassisi, portò anche alla detenzione del gruppo azionista nel carcere di Bari.
La maturazione politica, il riordino negli studi, la conoscenza di analisi e metodi si materializzò quando il giovane azionista riconsiderò il recentissimo passato scegliendo i suoi maestri in personaggi come Salvemini, Rossi-Doria e negli altri amici dell’antifascismo barese con i quali condivise cospirazione e carcere.
Fiore così si attestò nel filone del riformismo socialista democratico, ponendo il Mezzogiorno a questione nazionale. Seguì Riccardo Lombardi nel Partito socialista percependo di essere un chierico irregolare, differente dai predicatori del marxismo o dai profeti delle crociate cattoliche. Il dialogo, il confronto, la ricerca costituiscono le cornici delle sottili disquisizioni di Vittore nei dibattiti, ricevendo da Giorgio Amendola e da altri ruvide riprovazioni comuniste.
Il giornalista, il poeta, lo scrittore, il socialista libero si associò senza pregiudizi a una classe dirigente che esercitava una funzione di indirizzo sulle scelte di programmazione economica dagli uffici della Fiera del Levante. Con Manlio Rossi-Doria spiegava che le regioni meridionali non costituivano un’area unica, bensì c’erano zone che producevano olio, vino, frutteti e altre che erano invece aride, boschive, paludose, la cui rinascita era affidata alle bonifiche. Ingiustamente isolato negli ultimi anni, Vittore Fiore ci lasciò il 21 febbraio 1999.