La Francia adegua la sua legislazione seguendo un modello italiano. E’ successo per una legge che prevede l’uso sociale dei beni confiscati alla mafia e Parigi ha inteso perseguire quello che in Italia è adottato da tanti anni. Da anni si tentava di emulare il sistema italiano e, sin dal 2009, gli attivisti guidati dal ricercatore Fabrice Rizzoli hanno condotto battaglie per affermare questa svolta: “Ora può nascere una rete di collaborazione transnazionale e aiutarci sul territorio. Penso alla Corsica, dove fare antimafia è difficile come da voi negli anni ’80”.
Dopo undici anni di campagne di sensibilizzazione, adesso la Francia ha finalmente una legge per l’uso sociale dei beni confiscati alla mafia. Una lotta quindi condotta dal basso con una grande coerenza e determinazione da un ristretto nucleo di attivisti che erano capeggiati da Fabrice Rizzoli il quale oggi non nasconde la sua soddisfazione.
“Siamo stati dei pazzi. Ma ci abbiamo creduto nonostante le difficoltà. È grazie all’Italia se abbiamo capito che l’uso sociale dei beni confiscati significa cambio di mentalità sul territorio. Significa più legalità, cittadinanza, diritti e lavoro. E finalmente siamo riusciti a convincere anche la Francia”.
In Italia la legge sull’uso sociale dei beni confiscati è stata approvata nel 1996 soprattutto per merito della lotta e la raccolta di un milione di firme raccolte da Libera e Don Ciotti. Mentre in Francia hanno dovuto condurre un percorso lungo e accidentato che era iniziato nel 2009 con un sit-in davanti al Parlamento Ue di Bruxelles con la campagna Confiscopolis di Flare che possiamo dire era molto simile a Libera per l’Europa.
Dopo sono stati promossi incontri e dibattiti per avviare una sensibilizzazione dell’autorità politiche dei vari stati e della Francia. “Quando mi invitano in televisione”, spiega Rizzoli, “io porto con me i prodotti di Libera Terra per far capire cosa può nascere sulle terre dove prima c’era la mafia”.
Così dal 2019 l’associazione Crim’HALT, di cui Rizzoli è presidente, in virtù dei fondi europei del progetto Erasmus plus, ha portato avanti in Italia 20 francesi di cui imprenditori del sociale, amministratori locali e giornalisti per approfondire e studiare l’esperienza italiana.
Quindi il gruppo di lavoro è andato a Casal di Principe nel territorio in cui dominava Michele Zaza, per verificare da vicino l’esperienza del comitato Don Peppe Diana, e l’anno scorso sono andati anche nella valle del Marro in Calabria. “Con questa legge”, ha continuato Rizzoli, “anche in Francia la casa del trafficante di droga potrà diventare un alloggio d’emergenza e l’appartamento del corrotto potrà essere messo a disposizione di una ong. La Francia così potrà ‘riparare’ i territori danneggiati dai criminali. E quando si ‘riparano’ i territori, si ‘riparano’ anche gli uomini e le donne che ci vivono”.
Infatti l’Italia da questo punto di vista è un modello studiato in tutto il mondo grazie alla legge Rognoni-La Torre del 1982, che entrò in vigore dopo l’assassinio del segretario del Pci in Sicilia Pio La Torre, fu introdotto il reato di associazione mafiosa con la previsione di dure e rigide misure preventive quali il sequestro o la confisca dei beni. Però soltanto nel 1996 si è arrivati alla legge sull’uso sociale dei beni confiscati che è stata ed è una legge (finora) unica in Europa. Tale legge ha consentito in 25 anni che fossero confiscati 36mila immobili e 4mila aziende confiscate.
In Francia nel 2010 ad esempio è stata introdotta la confisca che prevede però la sola vendita dei beni sottratti alla criminalità organizzata. Bisogna dire che nel 2014 è arrivato un impulso importante da una raccomandazione di Bruxelles agli Stati membri Ue in cui è stato chiesto infatti di “favorire lo sviluppo di progetti sociali nei beni confiscati”.
Queste indicazioni hanno favorito che si smuovessero le acque e nel 2016 la legge approvata dall’assemblea nazionale all’unanimità per essere però bloccata dalla Corte costituzionale. Tutto ciò ha allungato di nuovo i tempi ulteriormente prolungati per il Covid sino a gennaio di quest’anno quando grazie alle pressioni di Fabrice Rizzoli e Crim’HALT è stata inserita una norma (articolo 4) nella legge che riforma il codice penale in materia di “giustizia di prossimità”.
In tal modo si è giunti al via libera dell’Assemblée Nationale, proprio il primo aprile scorso ottenendo l’approvazione del Senato. “E’ un risultato straordinario, ma sul quale bisognerà lavorare ancora”, afferma Rizzoli che oltre a ricoprire la carica di presidente dell’associazione Crim’Halt, è un ricercatore esperto di criminalità organizzata.
“E’ una legge molto restrittiva perché né la confisca né la destinazione sociale sono obbligatori. Spetterà poi all’Agenzia nazionale dei beni confiscati decidere se vendere l’immobile o metterlo a disposizione”. Tali beni immobili non potranno essere destinati né a istituzioni come i Comuni o le province, né alle cooperative. Invece potrebbe beneficiarne esclusivamente le associazioni e le fondazioni.
“Ma soprattutto”, prosegue Rizzoli , “non bisogna dimenticare che in Francia per avere la confisca serve una condanna penale definitiva”. E’ una strada diversa da quella dell’Italia, dove la confisca è una misura preventiva. Un percorso parallelo viene intrapreso con indagini su soggetti che sono indiziati di appartenere ad organizzazioni mafiose e si basa innanzitutto sulla sproporzione tra il reddito dichiarato e il reale tenore di vita di chi viene sottoposto a indagini.
Su quest’ultimo tema Rizzoli dichiara che sarà necessario lavorare ancora: “Chiederemo che la confisca diventi obbligatoria e che sia prevista anche in casi di condanna civile e amministrative, proprio come in Italia”. Il problema resta sempre la necessità di avere una legislazione antimafia uniforme anche fuori dai confini italiani.
“Per combattere la mafia anche in Francia”, prosegue Rizzoli, “serve l’introduzione del reato di associazione mafiosa, così finalmente si potrà dire che c’è la mafia anche sul nostro territorio”. La questione è delicata e molto discussa: nel codice penale francese esiste il reato di “association de malfaiteurs” (associazione a delinquere) e colpisce “un gruppo di persone che si forma per la preparazione di uno o più crimini o delitti puniti con almeno 5 anni di prigione”.
Gli investigatori francesi ritengono che l’introduzione del reato di associazione mafiosa aiuterebbe nelle indagini, mentre altri dicono che sarebbe difficile dimostrare l’esistenza della “struttura” e Rizzoli prosegue dicendo che “dobbiamo anche migliorare lo statuto di collaboratore di giustizia. Da noi non può essere protetto chi ha commesso un crimine di sangue”.
Proprio nel 2019 è avvenuto il caso di Claude Chossat condannato a 8 anni per essere stato coinvolto nell’omicidio di uno dei boss della Brise de Mer e, nonostante, collaborasse con gli investigatori da dieci anni lo avevano considerato un “pentito”, non ha avuto diritto ad alcuna protezione e non ha avuto alcun sconto di pena.
Si deve fare ancora molta strada in Francia per adeguare il sistema normativo a quello italiano, ma la legge sul recupero dei beni sociali è sicuramente un grande passo avanti. “Ora può nascere una rete di collaborazione transnazionale proprio dei beni confiscati in Europa”, si augura Rizzoli. “E questo può essere molto d’aiuto per chi cerca di sensibilizzare sul tema. Penso ad esempio a una terra come la Corsica, dove fare antimafia è difficile come da voi in Italia negli anni ’80″.
Anche il ministro francese della Giustizia si dichiara soddisfatto dell’esempio che viene offerto dall’Italia e su questo fronte si apre una discreta collaborazione tra la Francia e l’Italia. Infatti la settimana scorsa il ministro della Giustizia francese Eric Dupond-Moretti, si è collegato con l’omologa italiana Marta Cartabia, ringraziando ufficialmente il nostro Paese poiché l’Italia ha infatti consegnato alla Francia un immobile confiscato nell’ambito di un caso di mafia a Parigi rinunziando alla vendita (e quindi all’incasso) condizionando il provvedimento affinché venga riutilizzato a fini sociali.
Cosicché il governo francese ha deciso di destinarlo a un’associazione che aiuta e assiste le prostitute, L’Amical du Nid. Attendiamo il decreto di applicazione della legge, poi monitoreremo ancora. Il nostro impegno non finisce qui”. Una volta tanto nel campo giuridico e penale l’Italia fa scuola non solo alla Francia ma nel mondo.