Possiamo parlare di identità sociale e individuale, prescindendo dalla gabbia culturale che tale definizione include e impone?
In questi anni, all’interpretazione distorta del fenomeno della globalizzazione, i poteri nazionali e regionali hanno contrapposto una visione identitaria, soverchiante e soffocante in sé.
Ma cos’è l’identità di un popolo, di una società, di un individuo, se non una identificazione “sospesa” sul piano temporale, che rappresenta una “fotografia” quasi sempre artefatta di quegli stessi soggetti.
L’identità di un popolo è individuabile attraverso dei parametri, dei simboli o ancora, per via di espressioni culturali corrispondenti a un determinato momento della storia di quel popolo?
Possiamo definirla una costruzione compiuta, operando ritagli culturali assolutamente non coniugabili nel tempo?
E’ l’identità circoscritta di un popolo, lo strumento attraverso cui un movimento politico e culturale, in se reazionario, tende a controllare la società in un coinvolgimento emotivo e ideale?
Quasi sempre le visioni identitarie coincidono con l’esaltazione dell’idea nazionalista, cui una parte di quel popolo, etnicamente definito, cerca di ancorarsi conservando il proprio status.
Origina sempre una involuzione dell’accrescimento culturale che, nel tempo e nella condivisione con altri, quello stesso popolo avrebbe avuto.
Qualsiasi “fotografia” identitaria, ammesso sia possibile “scattarla” per un popolo complesso, come lo sono tutte le società umane, è già parte di una condizione socio-culturale non più esistente e astratta in sé.
L’idea di riproporla o imporla in modo artificiale, è di per se funzionale a una chiara volontà di limitazione, della naturale evoluzione culturale di quella stessa società.
L’isolamento che una visione identitaria e nazionalista impone a qualsiasi popolo, determina un pericoloso impoverimento culturale, sociale e economico.
Una via che determina il contrario di ciò che, in misura diametralmente opposta, invece riesce a scongiurare qualsiasi ibridazione o contaminazione culturale.
La visione identitaria costituisce una gabbia culturale utopistica e innaturale, giacché non esiste una società che non abbia avuto contaminazioni e ibridazioni culturali in continua evoluzione.
Una trappola culturale, che un esteso e opportunistico agglomerato di intellettuali cercano di definire, operando ritagli simbolici accostati in un appiattimento temporale, che in epoche e tempi differenti potrebbero avere momentaneamente contraddistinto quella società.
L’identità è una gabbia, in cui è impedita qualsiasi evoluzione o discostamento da quelle linee identitarie, cui si attribuiscono caratteri vincenti o peculiarità atipiche.
Una visione separata e discriminante, cui l’umanità, invece, grazie alla sua inarrestabile contaminazione socio-culturale, compie salti evolutivi di cui la Storia è narrazione compiuta e attendibile.
La nostra Storia è fatta di contaminazioni culturali e sociali, in cui i differenti popoli in movimento, rendevano e rendono possibile attraverso le reciproche relazioni.
Questa continua evoluzione è stata possibile, nella misura ontologica in cui l’essere umano vive e verso cui, in modo naturale, è proiettato nel suo vivere.
Diversamente da quello che determinano le gabbie identitarie, figliate da un fascismo culturale, in cui è messa a morte qualsiasi “spazialità” intellettuale e sociale, propria delle relazioni umane di cui la cultura è frutto.
1 comment
Mi sembra una visione molto parziale del concetto di identità. Il quale non è necessariamente chiuso né ostile al contyatto con altre identità, ma – ad esempio – considera necessario e dignitoso conservare un sano e pulito utilizzo della propria lingua senza contaminazioni inutili che sanno di asservimento ad identità altrui (si veda l’utilizzo esasperato degli americanismi che gli Italiani di oggi sbandierano, come nessun altro popolo).