Il destino europeo é nelle mani degli elettori francesi che domani e fra quindici giorni si recheranno alle urne per eleggere il prossimo presidente della repubblica.
Neanche la Francia si è salvata dalla crisi spaventosa che ha aggredito tutte le democrazie in Europa: Una pletora di candidati espressione di una sinistra e di una destra divise e di un baricentro democratico e liberale rappresentato da Macron presidente uscente.
Il pluralismo delle opzioni offrirà un volto lacerato della Francia che tuttavia ha partecipato alla campagna elettorale sulla quale come un macigno sta pesando la crisi internazionale creata dalla guerra in Ucraina.
La debolezza del candidato “gollista” Valerie Percasse, l’impetuosa avanzata del populista di ultradestra Zemmour hanno reso più commestibile dopo anni la possibilità di votare Marine Le Pen, la figlia rinnegata di Jean-Marie che si presenta oggi con il catalogo di valori e opzioni politiche di sempre depurata dalle nostalgie della destra post-coloniale.
Un’incognita per la democrazia francese che rischia di far rientrare dalla finestra quel che sempre era rimasto fuori dalla porta in virtù del “blocco repubblicano” che ha sempre impedito alla destra di derivazione fascista di poter accedere all’Eliseo.
La Sinistra orfana del Partito Socialista di fatto scomparso dal quadrante della politica francese dopo la presidenza di Hollande non è riuscita ad esprimere un candidato unitario, e nei frammenti che sono rimasti spicca la figura di Melenchon la cui offerta programmatica differisce non di molto da quella della figlia di Le Pen.
É a quell’elettorato che la destra guarda con interesse sapendo che vi sono ampi settori sociali che vede con il fumo negli occhi Emannuel Macron, non ne sopporta i tratti autoritari, la sua provenienza enarca, le sue politiche rigorosamente liberiste, il suo spirito europeista.
Nazionalisti ed anti-europeisti convergono sulla stessa piattaforma ideale. Una Francia che ritorni una nazione totalmente autonoma, che rinazionalizzi e che sciolga il proprio vincolo dal resto dell’Unione, seppellendo la felice sintesi che solo Francois Mitterand aveva saputo offrire mantenendo la grandeur ma sapendosi aprire alle nuove opportunità di pace e prosperità che poteva offrire l’Europa a cinquant’anni dalla fine del conflitto bellico.
Sullo sfondo le crisi economiche che non mancano e che naturalmente spingono ad un voto “contro” e non a favore della
Presidenza Macron, dall’altra il bisogno di mantenere continuità e stabilità al quadro politico francese in un momento segnato da numerose incognite accresciute dopo la pandemia e ancor di più durante la guerra in Ucraina.
Macron ha sudato le cosiddette sette camicie per scongiurare Putin di scendere sul terreno bellico, non ci é riuscito nonostante il filo telefonico fra Parigi e Mosca sia stato costantemente attivo, non ha sudato alcuna camicia in campagna elettorale; qualche meeting, ma nessun confronto con gli altri candidati.
Ha mantenuto alto il profilo presidenziale pur avendo adottato un profilo un po’ più nazional-popolare rispetto all’Alterità adottata negli anni presidenziali.
Lo score elettorale di domenica offrirà un quadro più preciso delle potenzialità della sfidante che, dicono i sondaggi, sarà Marine Le Pen.
Avere una personalità politica, che si scoprì essere al soldo di Putin, alla testa di una grande potenza europea non può essere considerato un fatto positivo dati i tempi calamitosi.
Ma le polemiche che non mancheranno non mettono affatto al riparo l’Europa da questa possibilità ed evenienza.