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A proposito di 41 bis

by Raffaele Mortellaro

L’occupazione dell’Università “La Sapienza”, a seguito del reiterato sciopero della fame del detenuto anarchico Alfredo Cospito, ha riacceso il dibattito intorno al 41 bis.

Il provvedimento sul carcere duro fu temporaneamente implementato per rispondere al terribile fenomeno dello stragismo (Contrassegnato dalle Stragi di Capaci e Via D’Amelio) e al terrorismo di stampo mafioso. Un attacco alle istituzioni come strumento di persecuzione di un disegno politico.

Si era andati, insomma, molto oltre la semplice criminalità organizzata. Ben oltre i vari tentativi di legittimarsi come surrogato dello Stato “dove lo Stato non arriva”. La reazione del Paese fu invece molto ferma.

Il carcere duro e un’ondata di arresti hanno colpito molto duramente i criminali responsabili di quella strategia terroristica, riportando col tempo Cosa Nostra nel perimetro della criminalità organizzata.

L’impossibilità di avere contatti con l’esterno è stata molto importante. Ma quel 41 bis, nato come “temporaneo” nei giorni delle Stragi, è diventato, dopo diverse proroghe, permanente nel 2002.

È insomma sopravvissuto alla battaglia (vinta) contro la mafia stragista per la quale era stato concepito.

Ad oggi, parecchi dei responsabili sono morti, altri sono molto anziani, alcuni addirittura sono in libertà perché hanno collaborato con la giustizia. 

Sono un esigua minoranza rispetto a quanti sono colpiti dal provvedimento, in alcuni casi commutabile persino senza alcuna condanna pendente.

Per ogni detenuto il provvedimento deve essere prorogato dal giudice competente ogni 2 anni, ma in molti casi il suo rinnovo è apparso controverso.

Molto spesso il 41 bis, che teoricamente sarebbe una precauzione per limitare le comunicazioni interne a un organizzazione, sopravvive in capo ai condannati anche quando quest’ultima non esiste più da tempo.

Così diventa però difficile non percepirlo come una punizione che non si ha il coraggio di definire tale. Cosa indegna in un Paese democratico, che ai propri cittadini dovrebbe dire sempre la verità.

Ci sono poi gli aspetti paradossali se non tragicomici. Già nel 2007, un giudice statunitense ha rifiutato l’estradizione del boss Rosario Gambino perché ha ritenuto il 41 bis “assimilabile al reato di tortura”.

Insomma, è già accaduto che l’articolo si sia rivelato un ostacolo per gli inquirenti e per la giustizia, e la percezione all’estero non credo migliorerà.

Perché è vero, abbiamo un serio problema di criminalità organizzata. Ce l’hanno, chi più e chi meno, tutti i paesi del Mondo, e lo affrontano senza strumenti altrettanto vessatori. A meno che non ci si voglia ispirare a modelli ben diversi.

Giusto coltivare la Memoria e la Legalità. L’ideale per un Paese che guarda al proprio futuro con ottimismo, in cui lavoro ed equità sono al centro del dibattito. Un Paese che crei delle occasioni strappando, al tempo stesso, il controllo di zone intere dello Stato ai mafiosi.

Ma non ne siamo capaci. Il 41 bis terrà pure nel carcere duro alcuni individui, ma non c’è un solo comune o quartiere di “Antistato “che sia stato occupato dallo Stato in tutti questi anni.

Non c’è un solo territorio colpito dalle forze dell’ordine in cui lo spazio criminale non si sia riorganizzato a seconda delle dinamiche del territorio di riferimento.

In compenso, diverse inchieste e processi hanno evidenziato come, invece, in forme certamente diverse dai propri territori di origine, l’Antistato non ha alcun problema ad attecchire altrove.

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