Sono passati vent’anni dalle violenze di Genova, da quel G8 del 2001, che si preannunciava già problematico nel contesto internazionale, ancor di più dopo la vittoria del centro destra nel nostro Paese.
Era un incalzare di voci, di minacce e probabilmente, di interventi mirati a sviluppare uno stato di agitazione e scontro, con lo scopo da sempre attuato, di azzerare la protesta pacifica, per orientare e deviare l’opinione pubblica.
Perché a Genova confluirono i tanti movimenti pacifici, di cui dimentichiamo importanza e valore, che protestarono contro le decisioni del nuovo ordine mondiale, oggi più che mai in vigore.
Vi furono però anche i famigerati Black Block, di cui si aveva già conoscenza sul piano internazionale e sui quali non si è mai indagato abbastanza, per capire chi li finanziava, organizzando gli interventi di devastazione e violenza, finalizzati a oscurare la protesta libera e democratica.
Probabilmente avevano origine simile a quella dei movimenti di estrema destra degli anni di piombo, finanziati e organizzati dalle compagini deviate(?) dei Servizi, attraverso organi istituzionali deputati all’ordine pubblico, come purtroppo è emerso negli anni, dai processi mai terminati e dalla Commissione Stragi parlamentare, sempre in itinere.
La violenza alla scuola Diaz è l’emblema del decadimento delle istituzioni democratiche nel nostro Paese, perché seppur circoscritto a fatti specifici, unici per gravità e violenza, non ha determinato la rimozione dei vertici delle istituzioni, per lo più continuando ad accettare i politici che, quella manifestazione di violenza, hanno voluto e determinato.
Nessuno dei Presidenti della Repubblica, dei Presidenti del Consiglio, dei Presidenti della Corte Costituzionale, ha mai richiesto nei fatti, trasparenza democratica di fronte a tali violenze.
Torture inaccettabili e scontri violenti, ovviamente attuati dai singoli individui delle forze dell’ordine, che però non avrebbero mai potuto agire in autonomia e indipendenza dalla struttura gerarchica, da cui rigidamente dipendevano.
Nel luglio del 2001 in Italia, a Genova nel caso specifico, vi è stata una sospensione dei diritti umani e degli enunciati costituzionali, per una precisa volontà e per mano delle istituzioni.
Solo per questo fatto si sarebbe dovuta istituire una Commissione parlamentare di inchiesta, con cui giungere alla verità dei fatti, indipendentemente dall’azione della magistratura, di cui non rileviamo esiti significativi, in ambito di responsabilità istituzionali.
In vent’anni le maggioranze di governo si sono alternate, in ultimo abbiamo avuto anche l’ingresso di una componente politica/populista, non diversa da quelle che si definiscono esclusivamente politiche, certo, ma che ha sempre utilizzato il manifesto della verità nella sua propaganda, senza però mai metterlo in pratica.
Della morte di Carlo Giuliani, cui piangiamo perché non possiamo accettare che una vita sia stroncata a vent’anni, dovremmo anche mettere in evidenza, chi ha svolto il ruolo del “cattivo maestro”, incitando allo scontro, “armato” da oggetti di fortuna, con le forze dell’ordine.
Come al solito il vero obiettivo della protesta, è stato sapientemente orientato verso uomini di stesse condizioni, natura ed età, che svolgevano il loro lavoro in difesa di chi, tra i fasti di una assente democrazia, decideva le linee guida da seguire sul piano internazionale, in dispregio dei diritti umani.
I movimenti pacifici in quei giorni e a Genova, esposero con chiarezza e lucidità l’opposizione alle decisioni degli otto capi di Stato e di Governo.
L’oscurare tale chiarezza con l’innesco della violenza, è da sempre la pratica efficace di una politica repressiva e fascista.
Un fascismo politico che, non ha una connotazione partitica, ma incarna il metodo di governo e potere insinuatosi nella nostra democrazia, governandola oramai in via esclusiva.
Fino a rendere inermi e insignificanti le istituzioni di Garanzia, che la Costituzione ha definito con precisione e completezza dei ruoli.
Un metodo fascista, che si è da sempre annidato nelle stesse istituzioni, in cui i componenti determinano l’agire, oltreché la continuità nell’esercizio della loro potestà decisionale e di selezione dei vertici.
E così, come penso a Carlo Giuliani ucciso dai suoi mandanti, penso a Mario Placanica, anche lui ventenne, scaraventato in una bolgia di cui, soprattutto altri mandanti, avevano determinato quasi ogni aspetto, morti e torture comprese.