Siamo ai cent’anni della scissione di Livorno e ci prepariamo a celebrare un rito funebre della storia del Novecento, una dannazione epocale e una maledizione della sinistra che per una circostanza non casuale avvenne poco prima dell’avvento del fascismo in Italia.
Ormai, tanta acqua è passata sotto i ponti e sono pressoché scomparsi quei partiti storici impersonati all’epoca da una varietà di dirigenti politici che erano profondamente radicati in tradizioni culturali e ideologiche che si contrapposero pur provenendo e convivendo nel movimento operario e socialista.
Le due personalità che si fronteggiarono, nel lontano 1921 prima della scissione, furono Filippo Turati e Antonio Gramsci, che ebbero due destini paralleli e oppositivi, pur essendo personalità di grande cultura e moralità politica. Affiora naturalmente la differenza ideologica in cui Turati fu riformista gradualista mentre Gramsci fu un rivoluzionario marxista.
Tuttavia al di là della semplice constatazione delle dure repliche della storia che hanno dato ampiamente ragione a Filippo Turati e hanno invece dato torto ad Antonio Gramsci, emerge anche la differente concezione del Partito che ebbero. Il leader dei socialisti riformisti ebbe sempre una profonda convinzione della politica praticata con rispetto, tolleranza e dignità nei confronti degli avversari interni e esterni al partito in cui si doveva manifestare alla differenze ma mai travalicare i confini con insulti, contumelie e calunnie per screditare l’avversario.
Filippo Turati ebbe sempre un’idea elevata della politica in una dimensione etica e morale di grande valore. Il padre del socialismo ha avuto un ruolo importante nella storia del secolo passato ed è stato un grande teorico politico. Purtroppo la nefasta vulgata storiografica del marxismo ha oscurato i meriti di Turati e, poi, soprattutto il compagno “Ercoli”, Togliatti , fece terra bruciata esprimendo un giudizio negativo secondo cui Turati fu ‘uno zero’ in fatto di teoria politica.
Parole dettate dal settarismo, dogmatismo e servilismo di Togliatti nei confronti dell’Urss e dell’internazionale comunista. In occasione della morte di Turati nel 1932 scrisse parole di fuoco non riconoscendo a Turati nessun merito e condizionando per generazioni il giudizio storico su Turati sia in Italia che all’estero.
In un’analisi attenta e nei documenti congressuali del Partito Socialista Italiano si denota che Turati è stato un protagonista lungimirante, profetico e tenace di una lotta politica e culturale che si oppose in maniera netta e chiara all’ascesa dei totalitarismi di destra e di sinistra.
Turati mirò ad educare le masse e il proletariato a conciliare la cultura socialista con quella liberale per rispettare le regole della democrazia anche se imperfetta di quell’epoca. Ecco che Turati in tal senso è stato, prima ancora di Rosselli, un socialista liberale, a differenza di Antonio Gramsci che fu lontano da questa cultura politica, anzi, fu l’opposto di questa idea politica riformista.
Gramsci non concepiva il pluralismo di idee e le differenze nel medesimo partito mentre invece si fece sempre carico dell’ipotesi di un organizzazione che fosse fondata sulla disciplina e la sottomissione al partito. Non vi era mai nei suoi scritti prima e dopo quando fu recluso nelle carceri fasciste la semplice idea di confrontarsi con le idee degli avversari politici.
Il Partito Comunista d’Italia impose, ai militanti del partito, l’assoluta accettazione dei totem ideologici e l’obbedienza senza incertezze all’indottrinamento ideologico, alla promozione del ricorso alla violenza, al rispetto della gerarchia del partito e al rifiuto dei dubbi che derivano dal relativismo culturale.
Sulla base di queste considerazioni che: chiunque mettesse in discussione criticando il modello bolscevico era un nemico e, pertanto, appartiene alla classe borghese degli sfruttatori che deve essere soppressa anche ‘con la forza’. Quindi intolleranza e scomunica con tutti coloro che non aderiscono al partito e gli intellettuali, i giornalisti e gli studiosi, gli uomini politici che militano negli altri partiti fanno schifo, sono ‘porci’, sono ‘stracci mestruati’.
Non meritano rispetto perché non obbediscono al Partito portatore della verità e non si inginocchiano ai capi della chiesa rossa. Turati fu soprattutto un educatore politico che affermava l’umanesimo della coscienza di classe e la lotta per il riscatto del proletariato, mentre, Gramsci ha sempre puntualizzato la necessità di creare un uomo nuovo che fosse totalmente controllato dal partito, unico portatore di una ideologia totalizzante e completa per un nuovo ordine sociale.
Tuttavia il pensiero di Antonio Gramsci non può essere relegato al dogmatismo comunista concependo il concetto di egemonia che nel tempo modificò l’ortodossia superando negli scritti dal carcere l’idea della rivoluzione violenta e superando l’interpretazione meccanicistica del “rapporto struttura-sovrastruttura”, nel senso che ci fosse “una totale e assoluta subordinazione della seconda alla prima” dando maggior peso agli elementi sovrastrutturali quali la cultura e le ideologie.
L’innovativa interpretazione del materialismo storico ha rappresentato per Gramsci una svolta radicale nella maturazione del suo pensiero, che gli ha consentito di considerare la conduzione dell’attività politica secondo modalità del tutto estranee alla prospettiva del marxismo ortodosso, che tutto riconduceva all’egemonia di un solo partito politico, portatore degli interessi di una sola classe sociale.
Anche Gramsci superò l’interpretazione ortodossa del marxismo e operò un’accettazione del pluralismo nello svolgimento dell’attività politica e dell’antagonismo tra i vari partiti. In buona sostanza, c’è una forzatura nell’idea di un’egemonia, intesa come “dominio” di un partito o di una classe sociale, che viene attribuita a Gramsci senza considerare l’evoluzione del suo pensiero ed esprime una lettura forzata dei testi dei “Quaderni”.
Gramsci pose invece l’esigenza che l’esercizio dell’egemonia in un’organizzazione democratica della società implicasse sempre una contrapposizione dialettica tra il gruppo egemone e i gruppi diretti, avvicinandosi all’idea di una democrazia che è il metodo che consente uno “scambio equilibrato” tra tutti i gruppi presenti all’interno della società civile.
Alla fine ha tentato di legare la democrazia stessa al pluralismo politico della società, trasformando l’esercizio dell’egemonia in un “governo delle differenze” e non in una omologazione o dissoluzione delle differenze, secondo la presunta superiore visione filosofica di un solo partito o di una sola classe sociale.
Turati ha quindi sicuramente preceduto Gramsci nel riconoscimento dell’importanza del pluralismo politico, eredità politica del riformismo socialista che doveva operare in un regime democratico e Gramsci si avvicinò a questa visione senza però essere assolutamente convinto poiché condizionato dai totem ideologici.