Dall’imprenditore socialista Antonio Gozzi
E’ ormai generalizzata la consapevolezza che accanto all’emergenza sanitaria ve ne sia una, non meno grave, economica.
Moltissimi commentatori, a proposito di questa, sottolineano come fin da ora si debba pensare al dopo con programmi e misure che favoriscono l’uscita dalla crisi e la ricostruzione. C’è un’emergenza immediata però rappresentata dagli effetti sulle imprese causati dal blocco dell’attività e dal conseguente strangolamento finanziario. E’ il tema che con grande lucidità Mario Draghi ha posto con il suo recente articolo su FT.
E’ interessante esaminare al riguardo cosa sta succedendo nel resto d’Europa. Se si analizzano la diverse situazioni emergono, rispetto all’Italia, due fondamentali differenze:
- La prima riguarda la chiusura delle attività e in particolare quelle industriali;
- La seconda riguarda la tempestività nell’adozione di misure atte a dare liquidità all’economia.
Soffermiamoci sulla prima questione. Nessun paese europeo (nonostante il dilagare dell’epidemia) ha fermato i sistemi industriali in maniera generalizzata come è avvenuto in Italia. Informazioni attinte presso le organizzazioni confindustriali delle diverse nazioni e soprattutto l’analisi, paese per paese, dei consumi elettrici che, come è noto, sono dei perfetti indicatori dell’attività industriale.
In particolare è impressionante notare la differenza tra il calo dei consumi elettrici italiani nell’ultima settimana, calo che oscilla tra il -20% e il -25% e quello registrato in Germania che oscilla tra il -2% e il -5%. In altre parole il lockdown tedesco è più annunciato che reale e, nonostante la fermata della VW dovuta alla profonda crisi dell’auto e non al Covid-19, il resto dell’apparato industriale germanico continua a funzionare.
Tutto ciò è gravido di conseguenze per l’industria italiana. Se la situazione dovesse proseguire così (fabbriche tedesche aperte, fabbriche italiane chiuse) potrebbero saltare completamente le catene della subfornitura, soprattutto nel comparto meccanico, tra Italia e Germania. Infatti l’industria tedesca potrebbe rivolgersi a sub-fornitori polacchi, cechi, slovacchi con un drammatico e strutturale cambiamento nelle reti degli approvvigionamenti e nelle relazioni tra filiere produttive.
In altri termini una delle eccellenze dell’industria italiana (la meccanica e la meccatronica) rischia di perdere drammaticamente quote di mercato a favore di altri competitori europei con le conseguenze immaginabili sulla nostra bilancia commerciale. L’analisi della situazione anche in altri settori conferma questo quadro.
Ad esempio tutti i siderurgici europei stanno lavorando (ArceloriMittal ha chiuso alcuni suoi stabilimenti legati all’auto) e in alcuni paesi, vedi Spagna, il settore elettrosiderurgico viene considerato d’importanza strategica nazionale perché fornisce il servizio di interrompibilità e protegge il paese dal rischio di blackout elettrico che in questa situazione sarebbe ancora più terrificante del solito.
La seconda grande differenza tra Italia e resto d’Europa riguarda la dimensione e la tempestività dell’adozione di misure per dare liquidità alle imprese. Tre casi su tutti Francia, Germania e Svizzera.
La Francia ha già adottato una misura generalizzata che consente prestiti-ponte pari a una cifra equivalente a 2-3 mesi di fatturato con garanzia dello Stato al 100%. Il tasso di interesse è pari a zero e il costo della garanzia dello Stato pari al 0,5% annuo. La durata dei prestiti-ponte è fissata in un anno; se l’impresa non è in grado di rimborsare entro l’anno puo’ prolungare il prestito fino a farlo diventare quinquennale ma con altri tassi di interesse. Durante la vigenza del prestito ponte non si possono distribuire dividendi né rimborsare prestiti effettuati precedentemente dagli azionisti (lo Stato, ovviamente, ha la precedenza sugli azionisti).
La Germania (anche se il suo sistema industriale marcia ancora) ha adottato una misura di oltre 550 miliardi di euro per le sue imprese di cui 400 sono movimentati con garanzie dello Stato e quindi attivano prestiti-ponte che funzionano, più o meno, sullo schema visto per la Francia.
In Svizzera, già dalla settimana scorsa, funziona una misura grazie alla quale le imprese possono mutuare fino a 20 milioni di Fsv con una garanzia dello Stato pari all’85% del prestito. Anche in questo caso i nuovi fondi possono essere esclusivamente utilizzati per superare la fase di emergenza e non per rimborsare altri prestiti, versare dividendi o rimborsare finanziamenti soci.