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Coronavirus: Angeli in trincea

by Rosario Sorace

Giovanna, 32 anni appena compiuti, siciliana di Catania, medico specializzando presso il Policlinico Universitario Sant’Orsola Malpighi, è una delle migliaia di “angeli” che stanno operando come sanitari nelle trincee di questa terribile guerra invisibile e che adesso è impiegata per carenza di personale medico nel reparto di sosta che verifica con i tamponi, se si è infetti, e così si adopera a collaborare attivamente con il reparto di malattie infettive dell’ospedale in modo da aiutare i colleghi a superare questa drammatica pandemia che vive l’Italia. 

Le abbiamo fatto un’intervista per capire meglio la situazione.                                                           

Come vivi questa nuova drammatica e inaspettata esperienza?                                          

La pandemia ha messo in stand by i progetti di tutti. La vivo con la profonda speranza che tutto passi presto, ma anche col giusto timore che ogni situazione nuova non scevra da rischi che comporta.

Cosa pensi quando sei a contatto con il dolore e la sofferenza umana?                                             

Si pensa che la vita e’ ingiusta. Un medico ha sempre a che fare con queste emozioni, a prescindere dalla situazione che stiamo vivendo. In questo caso e’ essenziale la capacita’ di essere empatici, per riuscire a dare al paziente sollievo nonostante tutto, e per non farlo sentire solo nella sua battaglia. E’ panche importante riuscire a mantenere nella propria mente il giusto distacco, che consenta di non soccombere alle sofferenze altrui.

La paura del contagio domina tutti. Ma per i medici è anche un rischio professionale altissimo. Come si riesce a gestire questo stato emotivo?                                                                      

Mi sono confrontata coi colleghi fin dal primo giorno. Abbiamo tutti paura, in realtà più per le persone care con cui conviviamo e che non hanno scelto in prima persona di assumersi il rischio. La paura però non ci impedisce di dare il massimo e di adempiere al dovere di assistere al meglio i pazienti. Diciamo che il senso del dovere riesce a sovrastare la paura, che comunque di fondo e’ presente, senno’ saremmo incoscienti.

Qual è la situazione nel tuo reparto? cosa ti senti di dire ai tuoi colleghi?                                   

Nel mio reparto attualmente serve da ‘sosta’ ai casi sospetti, in attesa dell’esito del tampone. Leggo nei volti dei pazienti la paura di essere positivi e nelle voci dei familiari, che ci contattano per telefono, l’ansia di sapere. La situazione si evolve tutti i giorni ed ad ogni turno emergono nuove criticità, come la carenza di mascherine chirurgiche o di saturimetri, presidi essenziali per l’assistenza ai pazienti. Devo dire pero’ che dietro si e’ attivata una grande macchina organizzativa, pronta ad ascoltare le istanze e a provare a risolverle al meglio. Noi al momento facciamo quello che possiamo, nel miglior modo possibile, senza pero’ compromettere la nostra sicurezza. Ai colleghi dico che in questo momento ciascuno di noi e’ importante e dobbiamo stare uniti, anche se alle giusta distanza, nel fronteggiare questo ‘nemico’. Mai come in questo periodo mi sono sentita parte di una grande squadra.

Tutti si chiedono quando finirà. Che idea ti sei fatta?                                                                       

La mia idea e’ che forse sta cominciando una fase di rallentamento dei contagi. Ciò grazie ai cittadini che stanno, nel loro piccolo, compiendo il grande gesto di tutelare se stessi e gli altri. Non e’ facile fare delle previsioni. Credo che l’andamento dei nuovi contagi nei prossimi giorni possa essere d’aiuto. Al momento la mia speranza e’ di riuscire ad avere sempre più armi (farmacologiche e di supporto di ventilatori, per esempio) per affrontare il virus e supportare il paziente nelle fasi precoci dell’infezione, in modo da provare ad abbattere il tasso di mortalità finché questa pandemia sara’ in corso.

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