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Concetta La Ferla: Un’indomita comunista

by Freelance

Di Nunziatina Spatafora

Ho conosciuto Concetta La Ferla attraverso il libro, “Di Concetta e le sue donne” della scrittrice Maria Attanasio, le cui esperienze di vita, raccontate nel testo, si intrecciano con quella della dirigente del Partito Comunista Italiano della sezione di Caltagirone.

La scrittrice parla di Concetta e di sé stessa, del rapporto politico ed umano che ha attraversato le loro vite. Una è il rovescio dell’altra come in una medaglia dell’altra. Concetta con pochi studi, istintiva e passionale rispetto a Maria, entrambe però con un obiettivo ed orizzonte di affermazione dei principi, di dignità ed di uguaglianza nell’esercizio di cittadinanza delle donne e degli uomini. Ma anche di uguaglianza, oggi diremmo di opportunità, tra le donne e gli uomini.

Concetta La Ferla nasce a Caltagirone nel 1930, la sua vita è già trasgressiva fin dalla nascita, quando il padre decide di non fare più figli per Mussolini, diventando cosi figlia unica di una famiglia antifascista.

In tempi in cui la figura paterna rappresentava l’autorità di un padre padrone, per Concetta, era padre, fratello, compagno e amico fidato e in certe occasioni anche sorella e madre, come quando in sala parto le stringeva la mano.

A lui deve la passione per la politica, che comincia quando ancora bambina fa da palo alle riunioni clandestine degli antifascisti di Caltagirone. Il suo impegno civile si consolida nelle piazze, luogo insolito per le donne a cui era permesso di esercitarlo senza scandali nelle parrocchie.

Alle mie domande inviate a suo tempo per iscritto, cosi Concetta ha risposto, riprendendo la confessione fatta a Maria Attanasio.

Concetta la tua prima esperienza politica ?

E’ stato il mio primo comizio che ho tenuto quasi per caso a quindici anni, nel 1945 a S. Michele in aiuto agli altri poiché c’era la tensione del dopoguerra. La donna che doveva fare il comizio aveva avuto un attimo di esitazione, e per non trasmettere momenti di panico nella piazza mi spinsero a prendere la parola.

Non ero né preparata, né niente, e non c’era tempo di coordinare quello che dovevo dire, ma nella bocca mi uscirono tutte quelle parole che da tanto tempo avevo nel cuore: Fu come una diga che si rompe, come una botte che non può trattenere il fermento del mosto.

La guerra non mette fine ai conflitti sociali e politici della città di Caltagirone, e Concetta si iscrive al Partito Comunista per continuare le sue battaglie per i diritti dei più deboli.

Come continuò il tuo impegno?

Cominciai dal mio quartiere, il Canalotto, una zona di nuove piccole abitazioni di operai e braccianti, dove il Comune non erogava servizi eccellenti. L’acqua era il cruccio delle donne del quartiere che si rivolgevano a me, Concetta la comunista, che portava le donne al Municipio.

Per ben tre volte andammo con le donne dal sindaco Smeraldo, senza che ci fù una quarta, perché a mezzanotte di una sera tutte eravamo a spaccare il tubo centrale dell’acqua che portava a valle. L’acqua infatti veniva in più punti intercettata dai capoccioni, “ruffiani della diccì”, che innaffiavano le loro terre. Dopo la lotta per l’acqua, ci fu quella per la posta, per la luce elettrica, per la fognatura.

E’ vero che per una protesta avete denudato un assessore?

È una lezione che ancora se la ricorda tutta Caltagirone, il giovane amministratore che non ci voleva ricevere fu denudato, lasciato solo con le mutande per il nostro pudore di donne, e trascinato fuori dalla sua stanza.

I più vecchi ancora si ricordano e si vocifera il nome del povero assessore della Democrazia Cristiana che in seguito fece molta strada.

Nemmeno i rapporti con il partito sono stati facili.

Infatti non sono stati facili, ricordo la lunga battaglia con gli uomini del partito che mi ostacolavano nell’intento di fare una sezione femminile, dove le donne potevano andare a fare politica più liberamente.

La discussione coinvolse il livello provinciale ed il nazionale da dove si mossero i massimi dirigenti per dirimere il contrasto che provocava l’idea di una sezione femminile dell’allora P.C.I.

Alla fine abbiamo ottenuto, su disposizione del partito nazionale, di aprire una sezione femminile che non poté chiamarsi per opportunità politica “Rosa Luxemburg” ma sezione “Lenin” che, essendo un uomo, aveva fatto tanto per l’emancipazione delle donne. In tutta Italia il partito aveva due “dispense” per le donne: una per Caltagirone e l’altra per un paesino della Puglia.

Allora tutto più facile?

Macché, per gli uomini del partito oramai a Caltagirone il nemico politico da sottomettere non era la Diccì, ma le donne della sezione “Lenin”.

Sei stata anche consigliere comunale.

Anche questo passaggio per me non è facile, perché sono stata eletta nonostante il partito non mi sostenesse. Ma una volta eletta non fui mai sola, quando la bandiera esposta del Municipio annunciava la seduta del Consiglio, i mariti dicevano alle donne: “Moglie stasera c’è il Consiglio, vestiamoci puliti ed andiamo a dare una mano alla compagna La Ferla”. E a vederli lì, nel grande salone di marmo, uomini e donne a sostenermi, mi sentivo invincibile.

Sei stata una donna che lotta per l’emancipazione, come hai vissuto il femminismo?

Anche il rapporto con il femminismo, negli anni settanta, non fu facile per me. A sentire certi discorsi a Catania in riunione di donne restavo allibita: le compagne di Catania volevano trascinare il discorso politico sul piano sessuale….L’uomo doveva fare da mangiare, servire a tavola, e avere lo stesso livello delle mansioni della donna; … lei invece poteva avere anche la libertà di amante, come se questa cosa si potesse stabilire per libertà di diritto, e non per necessità di cuore.

Insomma si parlava più di uomini che di politica. La verità è che c’era una grande differenza fra le donne di Catania che erano giovanissime, studiavano e nella politica erano nate con quel sistema di femminismo, e quelle di Caltagirone che tante volte erano analfabete e avevano il peso di una casa sulle spalle.

La tua vita privata, il tuo principe azzurro?

Ho incontrato il mio principe azzurro alla fine del mio primo comizio, a quindici anni, nel ‘45. Chiaro di carnagione e di capelli, mi fecero subito impressione i suoi occhi celesti. Ma fu durante la festa del primo maggio del ‘48 che Pippo Sforzo ballò tutta la sera con me comunicandomi che da li a poco sarebbe partito per militare.

Mi scrisse 64 lettere d’amore e 64 lettere d’amore gli mandai anch’io. E fu nel tempo delle lettere che ci siamo potuti parlare più intimamente…

E anche avanti con l’età il nostro contatto, sia sessuale che platonico, è stato un contatto bello e delicato. Anche se in vecchiaia con l’età, – confessa Concetta – un po’ ci si scontra con il proprio uomo, perché la vecchiaia rende più ostinati, e poi questo tempo attuale senza politica, uno si sente “accupare” come se ci mancasse l’aria.

Ancora una volta per Concetta la politica è un tutt’uno con la sua vita privata. Concetta vive ancora a Caltagirone ed ancora, quando può, va in sezione a ricevere le persone che chiedono aiuto. A Concetta viene ancora voglia di uscire di casa, “non per essere nella baraonda delle persone, ma per incontrarmi con altre donne”.

Per parlare di piccole cose: l’unica vanità di donna in questa mia vita di lunga militanza politica sono state un paio di calze ed un rossetto”. Questo scrivevo a conclusione della mia intervista a Concetta nel 2000. Concetta è morta l’11 agosto del 2014.

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