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Arturo Toscanini: il grande compositore d’orchestra, di ideologia socialista, che si oppose al regime fascista

by Freelance

Di Raimondo Pastellato

Arturo Toscanini è uno dei più grandi direttori d’orchestra di ogni epoca per l’omogeneità e la brillante intensità del suono, la grande cura dei dettagli, il perfezionismo e il dirigere senza partitura grazie a un’ottima memoria fotografica. Viene ritenuto in particolare uno dei più autorevoli interpreti di Verdi, Beethoven, Brahms e Wagner.

Toscanini nacque a Parma, nel quartiere Oltretorrente, il 25 marzo del 1867, figlio del sarto e garibaldino Claudio Toscanini, originario di Cortemaggiore (in provincia di Piacenza), e della sarta parmense Paola Montani; il padre era un grande appassionato di arie d’opera, che intonava in casa con amici dopo averle apprese al Teatro Regio, che frequentava spesso da spettatore. Questa passione contagiò anche il piccolo Arturo, e del suo talento si accorse non il padre ma una delle sue maestre, una certa signora Vernoni, che notandolo memorizzare poesie dopo una singola lettura, gli diede gratuitamente le prime lezioni di solfeggio e pianoforte. Arturo dimostrò nuovamente memoria eccezionale: era in grado di riprodurre al pianoforte musiche che aveva sentito anche soltanto canticchiare; la maestra Vernoni suggerì ai genitori l’iscrizione del figlio alla Regia Scuola di Musica, il futuro Conservatorio di Parma.

Di idee socialiste, dopo un’iniziale condivisione del programma fascista (nel novembre 1919 si era candidato alle elezioni politiche nel collegio di Milano nella lista dei fasci di combattimento con Mussolini e Marinetti, ma non fu eletto), se ne allontanò a causa del progressivo scivolamento a destra di Mussolini, divenendone un forte oppositore già prima della marcia su Roma. Fu una voce critica e stonata nella cultura omologata al regime, riuscendo, grazie all’enorme prestigio internazionale, a mantenere l’Orchestra del Teatro alla Scala sostanzialmente autonoma nel periodo 1921-1929. Al riguardo si rifiutò di dirigere la prima di Turandot dell’amico Giacomo Puccini, se Mussolini fosse stato presente in sala.

Per questi atteggiamenti di aperta ostilità al regime subì una campagna di stampa avversa sul piano artistico e personale, mentre le autorità disposero provvedimenti come lo spionaggio su telefonate e corrispondenza e il ritiro temporaneo del passaporto a lui e famiglia; tutto ciò contribuì a mettere in pericolo la sua carriera e, come accadrà a Bologna, la sua stessa vita.

Il 14 maggio 1931, trovandosi a Bologna per dirigere al Teatro Comunale un concerto della locale orchestra in commemorazione di Giuseppe Martucci, si era rifiutato in partenza di eseguire come introduzione gli inni Giovinezza e Marcia Reale, al cospetto di Leandro Arpinati, Costanzo Ciano e di vari gerarchi; dopo lunghe negoziazioni, che il Maestro non aveva accettato, si arrivò alla defezione di Arpinati e Ciano, e alla perdita di ufficialità del concerto, e di conseguenza alla non necessità di esecuzione degli inni; ma Toscanini, al suo arrivo in macchina al teatro in compagnia della figlia Wally, proveniente dall’hotel e in ritardo a causa delle negoziazioni, appena sceso, venne circondato e aggredito da un folto gruppo di fascisti, fortemente schiaffeggiato sulla guancia sinistra si presume dalla camicia nera Guglielmo Montani, e colpito da una serie di pugni a viso e collo; fu messo in salvo dal suo autista che lo spinse in macchina, affrontò brevemente gli aggressori e poi ripartì; il gruppo di fascisti giunse poi all’hotel e intimò a Toscanini di andarsene immediatamente; verso le ore 2 della notte, dopo aver dettato un durissimo telegramma di protesta a Mussolini in persona in cui denunciava di essere stato aggredito da “una masnada inqualificabile” (telegramma che non avrà risposta), avendo persino rifiutato di farsi visitare da un medico, partì in macchina da Bologna diretto a Milano, mentre gli organismi fascisti si preoccupavano che la stampa, sia italiana che estera, non informasse dell’accaduto. Da quel momento Toscanini visse principalmente a New York; per qualche anno tornò regolarmente a dirigere in Europa, ma non in Italia, dove tornerà a dirigere solamente alla fine del fascismo e della Seconda guerra mondiale.

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