Si è dubitato e si continua a dubitare del valore umanitario dell’innovazione tecnologica quando non si riesce ad avere un quadro chiaro, abbastanza ampio, dello sviluppo umano nella storia. Per quanti libri si leggano, documentari si guardino, lezioni universitarie si ascoltino, fino a non molto tempo fa ci mancava l’esperienza diretta del cambiamento.
Le tecnologie impiegavano anni, se non decenni, e ancora prima secoli (a seconda anche della parte del pianeta in cui si viveva) per presentarsi davanti alla porta di casa. In passato pochi dei nostri antenati hanno avuto l’occasione di assistere, testimoniare, partecipare o addirittura determinare i cambiamenti che hanno fatto dell’umanità quello che è adesso.
Le innovazioni erano distribuite in periodi molto più ampi, sparpagliate magari in parti lontane del globo, non così rapidamente assimilate e comunicate come oggi. Ma da un po’ di tempo a questa parte tutti noi siamo attori protagonisti della partita. Il movimento ci coinvolge, ci assorbe.
Quello che le nostre generazioni hanno visto, in termini di sconvolgimenti, avanzamenti, scoperte e la serie di adattamenti a diversi stili di vita, e a modi di interagire gli uni con gli altri, che hanno dovuto affrontare e risolvere in brevissimo tempo non ha eguali nella storia dell’umanità intera.
Quel che è successo negli ultimi cinquant’anni, in tutti i campi dell’attività umana, ha dell’incredibile. Oggi siamo in grado di trapiantare gli organi vitali dal corpo di una persona a un’altra. I chirurghi operano da remoto, grazie alla telemedicina e alle reti come il 5G.
Ci sono progetti avviati per produrre carne artificiale commestibile, in modo da abbattere drasticamente le emissioni inquinanti dovute all’allevamento intensivo, e non dover più uccidere altre creature per soddisfare il fabbisogno nutritivo.
Siamo riusciti a clonare degli esseri viventi, bypassando quello che sembrava essere il limite ultimo delle nostre possibilità: dare la vita. Viviamo a stretto contatto, se non parzialmente integrati, con robot e intelligenze artificiali che svolgono per noi le più disparate funzioni.
Abbiamo creato una rete globale di interconnessioni che coinvolge allo stesso modo esseri umani, macchine, software. Abbiamo tecnologie, il nome delle quali è riducibile a una semplice cifra (AI, Cloud, GPS, 5G) il cui impatto sul nostro modo di vivere e lavorare non è ancora totalmente compreso e assorbito. Gli anni Dieci del nostro secolo hanno dato un’accelerazione incredibile a tutto questo.
Viviamo in un’epoca di disruption, di rottura. Non è cambiata solo la tecnologia, ma con e grazie ad essa è cambiata la società. Con i social network e il susseguirsi delle generazioni mobili (dal 3G al 4G e ora 5G) e le reti ultra broadband supportate dalla fibra ottica i rapporti tra le persone, come tra le aziende e i centri di ricerca, sono diventati più facili, immediati, veloci.
Sul piano del lavoro, la domanda e l’offerta hanno potenziato e decuplicato i canali e le “piazze” d’incontro. I sistemi di rilevamento, di calcolo, di monitoraggio dei fenomeni naturali, terrestri ed extraterrestri, ci permettono di scommettere e investire su grandi progetti, di capire quale sia l’impatto delle nostre azioni, di prevedere le conseguenze, di modificare la rotta del nostro viaggio.
Il futuro è ancora da scrivere. Così come il presente. Perché, entrati ormai a pieno ritmo nel flusso dell’innovazione tecnologica digitale, è bene rendersi conto quanto i concetti di presente e futuro si sposino in un’unica prospettiva di accelerazione globale. Se nel tempo passato si sognava il futuro lontano (gli anni duemila erano lo scenario della fantascienza), ora che in questo storico futuro lontano ci viviamo, vediamo quanto il domani sia ogni giorno già qui, e come ogni mattina ci porti sempre un passo più in là, non più semplicemente verso il domani, ma verso l’oggi.
Questo, che potrebbe sembrare un azzardo concettuale, un paradosso, una contraddizione, non è altro che la semplice constatazione, la consapevolezza alla quale sono giunto. Dico sempre “È un’occasione unica, quella di questo tempo, della quale non possiamo che essere entusiasti. Vivere in un’epoca come questa, che sarà la madre del futuro, non capita a tutte le generazioni.”
Continueremo, certo, a sognare e progettare prototipi di sviluppo che vedranno la luce tra decenni, magari in forma completamente diversa da quella che ci aspetteremmo in questo momento, ma le distanze si accorciano sempre più. Un tassello tira l’altro. Nei prossimi anni che cosa succederà? Che cosa potrebbe succedere?
Esisteranno smartphone dotati di display estendibili, scorrevoli, multi-fold, che si piegheranno, si potranno mettere in tasca e poi aprire come una vecchia cartina geografica, e che conterranno informazioni tanto dettagliate da rasentare la totalità delle conoscenze disponibili: archivi, banche dati, contatti, cronologie di passate ricerche, suggerimenti, possibilità di interazione e modifica opensource della stessa interfaccia e del suo contenuto. Batterie che si ricaricheranno in pochissimi minuti, senza utilizzare metalli pesanti, estraendo il necessario dall’acqua del mare, e abbattendo così i problemi ambientali e sanitari legati all’estrazione del cobalto.
E poi magari lo smartphone stesso, simbolo della grande rivoluzione “unitiva” di varie prestazioni diverse, che ci sembra ormai quasi un accessorio irrinunciabile per la vita della nostra persona, sparirà, per dissolversi nell’ambiente dell’Internet of Everything.
Realtà aumentata a portata di sguardo, senza separazione tra soggetto e dispositivo, tanto che tra qualche tempo non utilizzeremo nemmeno più il termine “computer”, perché non ci sarà niente intorno a noi che non sia un computer, ovvero che non disponga di quelle funzioni di comunicazione e interazione che ora cerchiamo in una macchina isolata dal resto, composta da un hardware e da vari software.
La nostra casa sarà un unico, grande dispositivo con funzioni integrate (schermi, automazioni, intelligenze artificiali, machine learning). Avremo bagni intelligenti in grado di leggere in tempo reale i valori e monitorare così, in un’analisi continua, il nostro stato di salute, senza più bisogno di uscire per fare gli esami.
Abbiamo “giocato” fino ad oggi con dispositivi che – per quanto personalizzabile sia la gestione delle funzioni e delle app in essi contenute – si pongono sempre, per usare un classico tema della filosofia, come un oggetto dinnanzi a un soggetto. La spinta, però, il traguardo, la meta è quella di realizzare il soggetto al cento per cento; ogni modifica e innovazione apportata ai dispositivi digitali è in funzione della persona, delle sue necessità e dei suoi desideri.
Il balzo, così, sarà l’interiorizzazione, l’abbattimento delle distanze, l’annientamento del filtro rappresentato dal corpo fisico del dispositivo. La scomparsa del medium a favore della totale libertà del soggetto. Il passaggio dalla cosa (smartphone) alla risorsa ambientale (integrazione dell’interazione digitale nell’urbanistica e nell’architettura). E allora, ripartiamo. Nel segno dell’innovazione.
L’innovazione arriva, senza chiedere permesso. Ed entra in casa nostra senza bussare alla porta né suonare al citofono, forse anche un po’ maleducatamente, certo, ma non ci si può far nulla. È inevitabile. Allora, niente sarà più come prima.