Due lampi hanno illuminato la serata inaugurale del settantesimo Festival di Sanremo: il pacato ma anche durissimo urlo della giornalista Rula Jebreal contro la violenza sulle donne e la performance “on stage”, in tuta color carne, del cantante Achille Lauro.
Una performance davvero allucinante o allucinata o frutto di allucinazioni, fate voi, oltretutto su un palco che in passato ha visto esibirsi il gotha della musica italiana e non solo. Stiamo parlando di quando, per salire i gradini dell’Ariston, gli uomini dovevano indossare la giacca e la cravatta mentre le signore sfoggiare abiti da sera e calzature di prestigio. Questa volta invece è toccato vedere un più o meno affermato cantante – che cosa ci tocca scrivere – entrare in scena con un mantello nero con inserti in oro, a piedi scalzi e con i capelli ossigenati, per inscenare uno strip-tease che lo lascerà coperto soltanto da una tutina aderente con le bretelle, lunga fino alle ginocchia. Il tutto Sulle note della sua “Me ne frego” (mai titolo fu più azzeccato) cantata con una intonazione quantomeno rivedibile ma apprezzata non poco, soprattutto per la voglia di osare e trasgredire dell’artista, in sala stampa e dintorni.
Con una esibizione ad effetto, Lauro ha voluto rappresentare, decisamente a modo suo, la storia della rinuncia di San Francesco ai beni materiali. Con il patrocinio di Gucci e quella capacità incredibile dell’artista di distogliere l’attenzione del pubblico dalla sua musica per concentrarla invece sulla sua immagine.
C’è da giurare infatti che molti, invece di ascoltare le parole di “Me ne frego”, abbiano invece tentato di contare il numero esatto di tatuaggi che la tutina galeotta scopriva a poco a poco.