Di Eugenio Magnoli
Napoleone Bonaparte è stato un ex imperatore francese. La sua ascesa risale al principio della rivoluzione francese fino ad arrivare a governare un impero che si estendeva in tutta Europa. Muore come prigioniero britannico sulla remota isola di Sant’Elena nell’Oceano Atlantico meridionale.
Napoleone, nato in Corsica, è riconosciuto come uno dei più grandi strateghi militari della storia. La sua fama accresce rapidamente nei ranghi dell’Esercito rivoluzionario francese alla fine degli anni 1790. Nel 1799, la Francia era in guerra con la maggior parte dell’Europa e Napoleone tornò a casa dalla sua campagna egiziana per prendere il controllo del governo francese e salvare la sua nazione dal collasso. Dopo essere diventato primo console nel febbraio 1800, riorganizzò i suoi eserciti e sconfisse l’Austria. Nel 1802 stabilì il Codice napoleonico, un nuovo sistema di diritto francese, e nel 1804 fu incoronato imperatore di Francia nella cattedrale di Notre Dame. Nel 1807 Napoleone controllava un impero che si estendeva dal fiume Elba a nord, giù attraverso l’Italia a sud, e dai Pirenei alla costa dalmata.
A partire dal 1812, Napoleone iniziò ad affrontare le prime sconfitte significative della sua carriera militare, subendo una disastrosa invasione della Russia, perdendo la Spagna al duca di Wellington nella guerra della penisola e subendo la sconfitta totale contro una forza alleata entro il 1814. Esiliato in Isola d’Elba, fuggì in Francia all’inizio del 1815 e sollevò una nuova Grande Armata che ebbe un successo temporaneo prima della sua schiacciante sconfitta a Waterloo contro una forza alleata sotto Wellington il 18 giugno 1815.
Napoleone fu successivamente esiliato sull’isola di Sant’Elena al largo delle coste africane. Sei anni dopo, morì, molto probabilmente di cancro allo stomaco, e nel 1840 il suo corpo fu restituito a Parigi, dove fu sepolto nell’Hotel des Invalides.
In questo giorno importante dal punto di vista storico riproponiamo la famosa poesia di Alessandro Manzoni, erdità della storia e della letteratura italiana:
Il cinque maggio
Di Alessandro Manzoni
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;
E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.