Home Attualità 28 Luglio 1985: Cosa Nostra uccide Beppe Montana

28 Luglio 1985: Cosa Nostra uccide Beppe Montana

by Rosario Sorace

Tra i martiri della lotta alla mafia Beppe Montana occupa un posto di primo piano. In quella terribile estate di sangue del 1985 questo eroico poliziotto di soli 33 anni fu ucciso poco prima di andare in ferie.

Nativo di Agrigento, Beppe Montana visse lungamente a Catania poiché il padre, funzionario di Banca, si era trasferito nella città etnea per motivi di lavoro.

Sin da giovane manifestò vivace intelligenza, talento e tenacia che ne fecero un Poliziotto determinato, inflessibile, con un bagaglio di grande professionalità e acume e che amava molto il suo lavoro.

Dopo aver vinto il concorso, fece parte della squadra mobile di Palermo e fu incaricato di dirigere la neonata sezione “Catturandi”, che si occupò della ricerca dei latitanti.

In questa veste ottenne quasi immediatamente risultati importanti riuscendo a scoprire nel 1983 l’arsenale di Michele Greco, il “papa” per un certo periodo capo della cupola di Cosa Nostra.

Montana assicurò alla giustizia nel 1984, Tommaso Spadaro, che, per una strana e singolare circostanza del destino, fu amico d’infanzia di Giovanni Falcone, ma che crescendo, come spesso capita, divenne un boss mafioso che si arricchì con il contrabbando di sigarette e, poi, con il traffico di droga.

Montana collaborò attivamente al “maxi blitz di San Michele”, in cui vennero eseguiti dal pool antimafia ben 475 mandati di cattura. Naturalmente iniziò e svolse una fattiva attività investigativa in piena sintonia con il pool antimafia di Palermo che fu creato innanzitutto dal giudice Rocco Chinnici con cui lavorò a stretto contatto.

Dopo l’attentato mortale, in cui il magistrato venne assassinato, Beppe Montana ebbe la piena consapevolezza dei gravi rischi che correvano quei pochi magistrati e investigatori che osavano combattere la mafia in modo inesorabile: “A Palermo siamo poco più d’una decina a costituire un reale pericolo per la mafia. E i loro killer ci conoscono tutti. Siamo bersagli facili, purtroppo. E se i mafiosi decidono di ammazzarci possono farlo senza difficoltà”.

Nei giorni antecedenti al suo omicidio, tre giorni prima, la sezione “Catturandi” arrestò otto uomini proprio di Michele Greco, che, comunque, si sottrasse alla cattura.

Intanto Montana svolse indagini delicate per catturare un latitante Salvatore Montalto nel territorio di Ciaculli, controllato da Pino Greco, detto “Scarpuzzedda”, che dominava la cosca di quel territorio in cui si nascose il Montalto.

Poi fece indagini per arrivare agli assassini dell’agente Calogero Zucchetto, infiltrato nella mafia di Ciaculli, che fu ucciso nel novembre 1982 da Greco in quanto stava per arrivare all’arresto di Montalto.

Nell’ambiente mafioso si diffuse la voce falsa fatta circolare ad arte che Montana, non solo infastidiva i traffici illeciti della mafia, ma che, insieme al suo superiore Ninni Cassarà, avrebbero ordinato niente meno agli agenti che Greco e Prestilippo non sarebbero stati catturati vivi.

La solita calunnia per infangarli e delegittimarli anni dopo come avvenne con il corvo di Palermo contro Falcone e De Gennaro, mentre Montana e Cassarà, invece, furono funzionari rispettosi delle leggi ed erano pervasi da un alto senso della giustizia.

Essendo molto legato, appunto all’agente Zucchetto, Beppe divenne l’animatore del comitato in memoria dell’amico agente occupandosi di promuovere i valori della legalità.

Profondo e saldo fu anche il suo rapporto umano e professionale con Ninni Cassarà. Ambedue erano i migliori investigatori che in quel momento operavano a Palermo e rappresentavano un serio ostacolo agli interessi illeciti della mafia.

Infatti, Cassarà fu ucciso nove giorni dopo la fine di Beppe Montana. Beppe Montana svolse tra l’altro anche un’indagine sul Palermo calcio, che condusse in carcere il presidente Salvatore Matta per una gestione finanziaria disinvolta e spregiudicata.

Il poliziotto fu ucciso il 28 luglio 1985, il giorno prima di andare in ferie mentre si trovava con la fidanzata a Porticello, frazione del Comune di Santa Flavia vicino al porto dove il poliziotto ormeggiava il motoscafo.

Da quel giorno iniziò un’estate di sangue che in dieci giorni portò agli omicidi di tre investigatori della squadra mobile di Palermo, lasciati soli al loro destino.

Il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, arrestato dallo stesso Montana, pochi giorni prima dell’agguato di Porticello, dichiarò che gli omicidi di Montana e di Cassarà sarebbero stati favoriti e agevolati dalle soffiate di una “talpa”, da un poliziotto corrotto, operante all’interno della stessa squadra mobile, proprio della stessa sezione “Catturandi” guidata da Montana. Anche Giovanni Falcone confermò che la Questura di Palermo era un “covo di talpe”.

Le rivelazioni sull’omicidio di Montana sono state rese note nel 1989 proprio da Mannoia in cui il “pentito” dichiarò che a sparare sarebbero stati suo fratello Agostino, con Pino Greco “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, mentre Salvatore Marino avrebbe partecipato all’agguato in veste di fiancheggiatore.

Poi, nel 1994 Mannoia confermò questa versione e affermò che la decisione di uccidere Montana venne presa poiché era l’unico poliziotto che “osava invadere il territorio di Ciaculli”, e che sarebbe maturata a causa della già accennata falsità secondo la quale Montana e Cassarà avrebbero “impartito l’ordine di uccidere, prima della cattura, Pino Greco, Prestifilippo e Lucchese”.

Della presenza di talpe nella squadra mobile di Palermo fece riferimento anche Laura Cassarà, vedova del vicequestore ucciso, che testimoniando ad un processo del 1993, aggiunse che anche lei ed il marito dovevano essere in compagnia di Montana a Porticello proprio il giorno dell’omicidio ma, per pura casualità, non vi andarono per un imprevisto.

Il 17 febbraio 1995 la Corte di Assise di Palermo ha condannato i mandanti dell’assassinio Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Bernardo Provenzano, che furono condannati all’ergastolo.

Bisogna tenere viva la memoria di questi servitori dello Stato che hanno sacrificato la propria vita per garantire una Sicilia diversa e nuova.

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