Di Eugenio Magnoli
Sono poche le date rimaste indelebili nella memoria di noi italiani. Una di queste è proprio quel lontano 10 giugno del 1924, quando Matteotti uscì di casa per recarsi a piedi a Montecitorio.
Tutto cominciò da quel fatidico discorso che smascherò il fascismo mettendolo a nudo e evidenziando il fatto che fosse una realtà a due facce, il cosiddetto “fascismo in doppiopetto”.
Mussolini, fino a quel momento, stava cercando di dare un’immagine rassicurante del movimento fascista, emarginando le parti più compromesse con le violenze e presentandosi come l’unico uomo capace di ristabilire l’ordine sociale.
Allora, il 30 maggio 1924, Matteotti prese la parola alla Camera per denunciare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile.
“Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle elezioni della maggioranza. L’elezione secondo noi è essenzialmente non valida, e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni. Per vostra stessa conferma (dei parlamentari fascisti) dunque nessun elettore italiano si è trovato libero di decidere con la sua volontà. Vi è una milizia armata, composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso mancasse. Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
La proposta di far invalidare l’elezione venne respinta. Ma Matteotti non mirava realmente ad un invalidamento del voto, secondo molti storici. Il suo era un tentativo di denuncia per smascherare il fascismo, accusando in un colpo solo sia il governo che i “collaborazionisti” socialisti, che da molti non veniva ancora percepito come un vero e proprio pericolo per la democrazia e la libertà. La sua opposizione al fascismo la descrisse a Filippo Turati in una lettera:
“Innanzitutto – scrive Matteotti – è necessario prendere, rispetto alla Dittatura fascista, un atteggiamento diverso da quello tenuto fino qui; la nostra resistenza al regime dell’arbitrio dev’essere più attiva, non bisogna cedere su nessun punto, non abbandonare nessuna posizione senza le più decise, le più alte proteste. Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati; lo stesso codice riconosce la legittima difesa. Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca spontaneamente all’Italia un regime di legalità e libertà. Perciò un Partito di classe e di netta opposizione non può accogliere che quelli i quali siano decisi a una resistenza senza limite, con disciplina ferma, tutta diretta ad un fine, la libertà del popolo italiano. “Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall’uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell’altro”.
L’aggressione
Dopo il discorso tenuto il 30 maggio, il Parlamentare socialista venne aggredito da dei loschi figuri che poi vennero identificati come i membri della polizia politica: Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo.
L’aggressione avvenne in pochi istanti, secondo la testimonianza di due ragazzi. Gli balzarono addosso e ciononostante Matteotti riuscì a divincolarsi buttandone uno a terra e rendendo necessario l’intervento di un terzo che lo stordì colpendolo in viso con un pugno. Gli altri due intervennero per caricarlo in macchina. La macchina venne identificata inseguito, una Lancia Kappa.
Durante la colluttazione all’interno della vettura Matteotti riuscì a gettare fuori il suo tesserino da parlamentare, trovato in un secondo momento da due contadini presso il Ponte del Risorgimento.
Secondo la ricostruzione dei fatti, Matteotti cercò più volte di contrastare i suoi assalitori e Giuseppe Viola, non riuscendo a tenerlo fermo, estrasse un coltello e colpì Matteotti sotto l’ascella e al torace e lo uccise, condannandolo ad una morte agonizzante che si concluse solo dopo diverse ore.
Il corpo venne buttato nella campagna romana nel bosco nel comune di Riano, a 25 km da Roma. Qui, servendosi del cric dell’auto, seppellirono il cadavere piegato in due. Poi ritornarono a Roma dove lasciarono la vettura in un garage privato. Subito informarono Filippelli e De Bono degli avvenimenti e poi si allontanarono cercando di nascondersi.
L’incidente di Matteotti è un avvenimento assai triste poiché ricorda un periodo scuro e cupo della nostra storia. Il ricordo di tale evento serve da monito per le future generazioni e per ricordare, soprattutto, chi si è battuto per preservare la libertà e contrastare con forza la tirannia e le oppressioni. Grazie Giacomo Matteotti. L’ideale che abbiamo ereditato da te non morirà mai.