È difficile per me parlare di Covid-19 adesso. Il mio Paese, l’Italia, è considerato il secondo untore solo dopo la Cina. Come se la colpa fosse nostra di ciò che sta accadendo nel mondo. La Cina forse è la colpevole. Un mega Paese che sapeva e non ha detto nulla. Ha preferito tacere.
E oggi siamo qui a raccontare le centinaia di storie di coloro che hanno contratto questo virus. C’è chi l’ha presa in forma lieve e ha avuto la possibilità di stare nella propria abitazione e chi, invece, contratto in forma pesante, è stato costretto al ricovero e alla terapia intensiva. Ed è proprio questo uno dei peggiori problemi, la terapia intensiva. Non ci sono sufficienti posti letto. Addirittura negli ultimi giorni si è parlato di fare delle scelte. Curare prima i giovani o i “vecchi”? Come se dovessimo scegliere tra pere o mele. Come se i giovani venissero prima degli anziani o viceversa.
Quello che più mi addolora, però, è stata la gestione di una comunicazione che ci ha fatto sentire ancora più disorientati. Coloro che dovevano darci indicazioni, suggerimenti, conforto e sicurezza, hanno creato solo disorientamento e panico.
Prima era uscita la notizia che le scuole sarebbero rimaste chiuse, poi c’è stato un contrordine, scuole aperte. E poi di nuovo scuole chiuse (questa volta è vero). E ancora, era stata fatta girare la bozza di un dpcm che invece non era quello ufficiale. Contraddizioni, informazioni fake. E il cittadino? Come dovrebbe comportarsi di fronte a misure che dovrebbero essere restrittive per il bene della gente e poi ci si ritrova nella movida milanese o romana a sorseggiare un aperitivo? È vero, non è la prima volta che ci troviamo di fronte ad una situazione del genere ma è troppo semplice farsi scudo dietro ad una novità, negativa, che non è stata gestita nel migliore dei modi. Se ci soffermiamo a riflettere, possiamo dire (o quello che le alte sfere dovrebbe domandarsi): “Abbiamo fatto tutto il possibile? Siamo fieri di ciò che abbiamo fatto?”. Oppure “potevamo dire o fare qualcosa di diverso?” Io credo che si potesse fare e dire tanto di più, ma molto tempo prima.
Ricordo ancora gli albori di questa brutta vicenda in cui adesso ci troviamo, quando si parlava di razzismo. Alcuni dicevano che non si dovevano assolutamente chiudere le frontiere, che non dovevamo isolarci dal resto del mondo, che non dovevamo chiudere i collegamenti da e per la Cina. E non per una mera questione economica (dove anche qui si doveva gestire in altro modo per non mettere in difficoltà le aziende e le imprese) ma perché il mondo ci potesse additare l’appellativo di razzisti. Come dimenticare l’hashtag #abbracciauncinese, per non farli sentire discriminati ed esclusi dalla nostra comunità dove vivono nel massimo rispetto e sono pienamente integrati. Quell’abbraccio che alcuni politici hanno voluto dare più e più volte a cittadini italiani e non, e che a qualcuno è costato il Coronavirus.
La verità è che abbiamo sottovalutato un’epidemia e pandemia che forse potevamo evitare o almeno controllare e gestire meglio. Abbiamo fatto tanto per ottenere la democrazia, uno stato che ci trasmette sentimenti di libertà. Libertà di pensiero, libertà di parola, libertà di vivere come meglio crediamo, sempre nel rispetto delle regole e della nostra Costituzione. Ma mai come oggi, forse, ci sarebbe voluto fin dall’inizio più polso e una “dittatura democratica”.
Cosa vuol dire? Che i cittadini dovevano essere informati in tempo reale, che i cittadini avrebbero dovuto avere la possibilità di confrontarsi in questa emergenza creando anche dibattito e dialogo ma… ascoltando e “prendendo ordini” da chi doveva dire “Chiudiamo tutto. Chiudiamo perché il mio Paese e la mia gente è in pericolo e io non metto a repentaglio la sicurezza e la vita del mio Popolo”. Non ho sentito queste parole. Pur di non essere considerati razzisti, asociali, discriminanti verso il terzo, abbiamo messo a repentaglio il nostro Paese. E adesso? Adesso dobbiamo rimboccarci le maniche, far vedere quanto la nostra Italia e noi italiani sappiamo essere forti e guarire. Guarire e risorgere più temprati di prima. Ce la faremo, ce la dobbiamo fare perché noi siamo l’Italia.