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Perché gli italiani non credono più nella politica

by Silvia Roberto

Le festività di Natale sono un momento di riflessione sull’anno che sta per finire. È tempo di fare bilanci e di scrivere una lista con i pro e i contro. E su questo 2019, giunto oramai agli sgoccioli, di cose da raccontare ce ne sono molte, anche troppe.

La politica ha fatto sicuramente da padrona. Tra Conte 1, Conte 2, #tutticontroSalvini, la Meloni protagonista di un video remixato, il caso Ilva, la Tav, le discussioni sul crollo del ponte Morandi nel 2018, le concessioni alla Benetton e il commissariamento della Banca Popolare di Bari. A fronte di affermazioni di un politico, ce ne era un altro che le smentiva. Parole, parole, parole. Così recitava una canzone di Mina. E i cittadini? Il consenso del popolo a una politica non più credibile in quest’anno è scivolato miseramente.   

Ma quando abbiamo smesso di credere nella politica e nei politici? Quando abbiamo deciso di non fidarci più delle parole di coloro che dovrebbero essere i nostri rappresentanti e fare gli interessi del popolo? Diciamo che loro non ci hanno aiutato. Anzi, nel corso degli anni abbiamo assistito a una serie di frasi fantasiose, a volte creative, a volte ridicole, ma soprattutto a promesse non mantenute.

Ricordate le parole di Matteo Renzi, promotore del referendum del 4 dicembre 2016? “Se perdo il referendum sulla riforma costituzionale smetto di far politica”. Un discorso pienamente condiviso anche dalla Boschi, sua fedelissima da quando sono state spalancate loro le porte della politica, che aveva affermato come anche lei avrebbe lasciato. Frasi ad effetto come “Ci metto la faccia”, “Si chiude bottega”, “Ce ne assumiamo la responsabilità”, “Non campo di politica”. Hanno perso il referendum eppure spadroneggiano ancora nei banchi della politica, lui come senatore, lei come deputata.

Per non parlare del Movimento 5 Stelle che esordiva nel 2013 come movimento antisistema, anticasta, antipolitico, anti tutto, e invece notiamo come, nel corso del tempo, si sia ben integrato e amalgamato al sistema. Camaleontizzandosi con gli altri hanno addirittura discusso sull’abolizione del “vincolo dei due mandati” che imponeva agli eletti del partito di non ricandidarsi al termine del secondo mandato di una qualunque carica elettiva. Una regola semplice e chiara successivamente abolita e sostituita con il “mandato zero” nel caso di eletti in consigli comunali, ma pensata per essere ampliata anche ai parlamentari. Questo quando si parlava di crisi, e quindi di possibili elezioni imminenti. A sostegno di tale tesi e a difesa era andato anche Di Battista, lo scorso giugno, che aveva detto che se il governo fosse caduto durante l’estate lui avrebbe chiesto di non considerare questa legislatura come un vero mandato. Non sarebbe, secondo il grillino, una piena legislatura, anzi sarebbe la più breve della storia repubblicana e quindi non andrebbe contata.

Vogliamo soffermarci e parlare del tanto discusso taglio dei parlamentari? Un partito dovrebbe essere credibile anche dal programma che presenta e persegue con costanza e dedizione. E invece, ancora una volta, notiamo come, in questo caso il Pd, nelle prime tre votazioni aveva detto No, decidendo poi, in quarta e ultima votazione, di dire Sì. Se la coerenza non parte dai politici stessi, come si può pensare che i cittadini si affidino a loro? E la lista potrebbe proseguire, nessun partito escluso. Ma ciò su cui dovremmo riflettere, o meglio far riflettere i nostri politici è che i cittadini sono stanchi di essere presi in giro. Il popolo italiano è uno dei più fedeli alle tradizioni, è paziente, è generoso, ma quando decide di dire basta, vuol dire che è tempo di tremare.

In fondo, se ci pensiamo bene, la politica è sempre la stessa. Ciò che è cambiato nel corso degli anni, dal 1945 ad oggi, sono stati i loro componenti. Diventare parlamentare un tempo voleva dire ricevere un nobile incarico, assumersi un’elevata responsabilità che richiamava tutta la competenza e professionalità del politico che in quel momento rappresentava ogni singolo cittadino di un paese chiamato Italia. Non che fatti e misfatti non succedessero anche allora ma ciò che li distingueva era la dignità e l’orgoglio di possedere uno dei  testi costituzionali più belli al mondo.

Allora dovremmo metterci una mano sulla coscienza, dai politici ai cittadini, e porci una domanda: “Davvero stiamo facendo tutto il possibile perché il nostro paese possa seriamente tornare a splendere”?

Silvia Roberto

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