Mentre ancora si attende la revisione del Parlamento sul cosiddetto ergastolo ostativo, la Fondazione Giovanni Falcone ha fatto pervenire alla commissione Giustizia della Camera una proposta per modificare l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario.
L’elemento centrale della riforma proposta consiste nella possibilità di accesso alla libertà vigilata per i mafiosi e i terroristi soltanto se daranno un “contributo per la realizzazione del diritto alla verità spettante alle vittime, ai loro familiari e all’intera collettività sui fatti che costituiscono gravi violazioni dei diritti fondamentali”.
Quindi chi è condannato all’ergastolo per i reati di tipo mafioso o per terrorismo potrà beneficiare della libertà vigilata solo se fornirà un contributo alla verità che spetta alle vittime, ai loro familiari e alla collettività sui fatti criminosi commessi.
Si ricorderà che nell’aprile scorso la Corte costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario che è appunto la norma che impedisce ai detenuti per reati di tipo mafioso e terrorismo di accedere alla libertà condizionata se non hanno collaborato con la giustizia.
La Consulta ha dato tempo sino al maggio del 2022 al Parlamento per intervenire, e così, se il legislatore non dovesse modificare l’articolo 4-bis dell’ordinamento penitenziario, anche i mafiosi stragisti che non hanno mai collaborato con la giustizia potrebbero richiedere i benefici della libertà vigilata dopo 26 anni di carcere scontato.
La commissione Giustizia della Camera ha iniziato a prendere in esame alcune proposte di legge e adesso giunge la proposta della Fondazione Falcone.
Proprio il magistrato ucciso a Capaci ebbe il merito di avere indicato idee guida per la lotta alla mafia e diede un impulso anche per l’ergastolo ostativo come misura per contrastare Cosa nostra.
“Con questa nostra proposta – afferma Maria Falcone presidente della Fondazione – intendiamo dare il nostro apporto a un tema per noi di importanza fondamentale. Il fine è tener conto delle indicazioni della Consulta senza indebolire la lotta alla mafia e senza vanificare le grandi conquiste fatte in questi anni grazie a una legislazione costata la vita a tanti servitori dello Stato”.
La proposta di riforma è stata formulata dal dottor Antonio Balsamo, presidente del tribunale di Palermo e consigliere della Fondazione Falcone, e da Fabio Fiorentin, che è uno dei magistrati più esperti in Italia in materia di ordinamento penitenziario.
Quindi, la proposta di legge della Fondazione, punta a condizionare la concessione dei benefici penitenziari per gli ergastolani condannati per i reati di mafia e terrorismo solo quando, questi ultimi, assumano iniziative in favore delle vittime, compresa la partecipazione alle forme di giustizia riparativa, ma, soprattutto, quando contribuiscono alla realizzazione del diritto alla verità spettante alle vittime, ai loro familiari e all’intera collettività.
Tale proposta si lega agli sviluppi giuridici che si sono affermati nell’ambito delle Nazioni Unite e che ogni anno, il 24 marzo, si tiene durante la Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime.
Secondo quanto afferma la Fondazione bisogna far crescere nel detenuto ergastolano l’impegno alla realizzazione del diritto alla verità che è una componente indispensabile del “diritto alla speranza”, inteso come possibilità di “riscattarsi per gli errori commessi”, che tra l’altro viene evidenziato dalla Giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
In tal mondo, la Fondazione Falcone afferma che i benefici “possono essere concessi ai detenuti o internati, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, purché sia fornita la prova dell’assenza di collegamenti attuali del condannato o dell’internato con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, e dell’assenza del pericolo di ripristino dei medesimi e sempre che il giudice di sorveglianza accerti, altresì, l’effettivo ravvedimento dell’interessato, desunto dalla sua valutazione critica della sua precedente condotta, dalle sue iniziative a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa, e dal suo contributo alla realizzazione del diritto alla verità spettante alle vittime, ai loro familiari e all’intera collettività sui fatti che costituiscono gravi violazioni dei diritti fondamentali”.
Poi, per la concessione dei benefici, è scritto nella proposta che “il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide, acquisite dettagliate informazioni dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza, dal comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica in relazione al luogo dove il detenuto risiede, nonché, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall’articolo 41 -bis, anche dal Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo”. Per finire si dice che “con il provvedimento di concessione dei benefici il giudice può disporre l’obbligo o il divieto di permanenza dell’interessato in uno o più comuni o in un determinato territorio; il divieto di svolgere determinate attività o di avere rapporti personali che possono occasionare il compimento di altri reati o ripristinare rapporti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e può altresì prescrivere che il condannato o l’internato si adoperi in iniziative di contrasto alla criminalità organizzata”.
Allo stato attuale all’esame dei lavori della commissione Giustizia ci sono tre proposte di legge. Una firmata dal Movimento 5Stelle, Vittorio Ferraresi, Alfonso Bonafede e Giulia Sarti, che esclude i mafiosi dalla modifica ordinata dalla Consulta. In tal senso, nella proposta dei pentastellati, si parla di “elementi concreti” che documentino la lontananza dai clan che siano più evidenti e lampanti della “mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale ”per accedere alla libertà condizionale ma anche ai permessi premio.
Servirà anche giustificare i motivi della mancata collaborazione e dimostrare di aver risarcito le vittime del reato commesso o dimostrare di non poterlo fare per questioni economiche.
Poi, per decidere la liberazione, ci deve essere un unico ufficio competente che si deve istituire all’interno del Tribunale di sorveglianza di Roma così da impedire la sovraesposizione dei giudici dei vari distretti.
Mentre, per quanto riguarda la proposta di Fratelli d’Italia, si chiede che il magistrato di sorveglianza possa acquisire “dettagliate informazioni” per escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata.
In ultimo vi è la proposta depositata dal Pd di Enza Bruno Bossio che esclude l’obbligo di chiedere il parere delle procure antimafia prima di concedere i benefici.