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La parabola politica del socialista e nazionalista Alceste De Ambris

by Rosario Sorace

Alceste De Ambris, nato in una famiglia numerosa, fu un ardente idealista del movimento repubblicano che si formò al pensiero di Giuseppe Mazzini e divenne un infuocato sindacalista rivoluzionario e giornalista. Si distinse subito nella battaglia politica abbracciando il socialismo e divenendo un giornalista nella redazione del periodico La Terra che era diretta da Luigi Campolonghi.

Si mise in evidenza anche all’interno della Cooperativa di produzione e Lavoro di Pontremoli e fu condannato per diserzione. Fuggì all’estero prima in Francia a Marsiglia e in seguito andò in Brasile a Rio De Janeiro e San Paolo.
Rientrò in Italia nel 1903 e nello stesso anno De Ambris fu eletto Segretario della Camera del Lavoro di Savona, mantenendo questa carica sino al 1904.

De Ambris si trasferì a Livorno dove, in quello stesso anno, divenne Segretario della Federazione dei lavoratori del vetro. Dopo andò a Roma assumendo la carica di dirigente della Gioventù Socialista iniziando a scrivere da giornalista su periodici di indirizzo sindacale.

Tenne molti comizi e conferenze anche nella natia Lunigiana. Nel 1907 venne nominato segretario della locale Camera del Lavoro, che alla fine del 1907 contava 29.037 lavoratori associati a fronte dei 12600 di inizio anno.

 

Vi fu poi la frattura dell’unità del Partito Socialista dovuta ai contrasti tra i riformisti e sindacalisti rivoluzionari, che consentì la controffensiva agrario-padronale, che venne sostenuta dal governo. Furono impiegati carabinieri ed esercito nella repressione del primo e più vasto sciopero italiano agrario, attuato nel 1908 nella provincia di Parma.

Alceste De Ambris

Il 20 giugno 1908 a Parma e provincia vi furono agitazioni e manifestazioni con cortei di lavoratori organizzati che vennero sempre capeggiati dallo stesso De Ambris. Le forze di polizia governative cercarono allora di reprimere e sedare tali tumulti. Dopo un’aspra lotta con gli scioperanti i Carabinieri e la Cavalleria del Regio Esercito occuparono la sede della prima e storica “Camera del Lavoro” del sindacalismo italiano.

Molti gli scioperanti e i sindacalisti arrestati mentre Alceste de Ambris riuscì a fuggire a Lugano. Suo fratello e anche compagno di lotta, Amilcare, rimase nascosto a Parma con l’intento e l’ordine di Alceste di ricostruire le leghe contadine e il movimento sindacale che era stato represso “per mano militare”.

Da Lugano, Alceste De Ambris si spostò, esule e condannato in contumacia, in Brasile dove rimase per oltre due anni. Tornò a Lugano nel marzo del 1911 dove diventò co-direttore, assieme ad Angelo Oliviero Olivetti, della più importate rivista sindacalista rivoluzionaria italiana, “Pagine Libere”.

Fu una fase storica in cui De Amdris continuò a svolgere una forte propaganda anticolonialista e antinazionalista battendosi contro la guerra italo-turca e collaborando altresì alla nascita dell’Unione Sindacale Italiana, sindacato fondato nel 1912 al convegno di Modena. Nel 1913 venne eletto al Parlamento italiano, con voto popolare massiccio nel Collegio elettorale di Parma – Reggio Emilia – Modena per il PSI.

In virtù dei benefici dell'”immunità parlamentare”, poté ritornare in Italia dove venne accolto da grande entusiasmo da eroe risorgimentale a Parma. Il popolo lo portò in trionfo dalla stazione ferroviaria alla piazza Garibaldi dove ci fu un comizio per festeggiarlo.

Riprese quindi la sua passione primaria di organizzatore sindacale e direttore di giornali sia politici che sindacali, guidando, tra gli altri L’Avanguardia che era l’organo dell’Unione Sindacale Milanese. Alceste De Ambris fu sempre schierato a favore di un fronte comune fra tutte le forze rivoluzionarie, democratiche e internazionaliste, nell’agosto 1914.

Quando scoppiò la Prima guerra mondiale si convinse che questo conflitto era l’occasione per porre fine ai regimi tirannici della vecchia Europa e cosi De Ambris condusse insieme a Filippo Corridoni il fronte interventista. Il suo ardore di sindacalista rivoluzionario e internazionalista manifestò un’aperta solidarietà in favore delle tesi irredentiste a difesa di Trento e Trieste e della Venezia-Giulia, che in precedenza Cesare Battisti aveva già esposto a Parma il 3 novembre 1914 in un memorabile comizio organizzato dall’Università Popolare e dal movimento repubblicano e mazziniano in cui intervennero anche il socialista Agostino Berenini che nel contempo appoggiò il successivo comizio interventista di Mussolini.

Nel maggio del 1915 partì anche come volontario e per l’occasione compose l'”Inno dei Volontari”. Si avvicinò nel 1919 al fascismo sansepolcrista, illuso dai primi esordi in cui si manifestarono tendenze repubblicane, anticlericali, democratiche, sindacaliste, nonché “futuriste” e antiborghesi.

Collaborò persino attivamente alla stesura del Manifesto dei Fasci Italiani di Combattimento che venne pubblicato su Il Popolo d’Italia del 6 giugno del 1919 e tenne anche nell’ aprile 1919, in piazza del Duomo, insieme al deputato liberale Candiani, tenne un comizio al corteo nazionalista.

Poi lo stesso corteo assaltò la sede dell’organo di stampa socialista l’Avanti! Nel gennaio del 1920 De Ambris raggiunse Gabriele d’Annunzio a Fiume con i suoi mille “Legionari”. D’Annunzio lo nominò suo Capo di Gabinetto nel Governo della Città in sostituzione del capitano Giovanni Giuriati.

Da teorico e comandante del nuovo stato che fu chiamato “Reggenza Italiana del Carnaro” e De Ambris elaborò la carta costituzionale detta Carta del Carnaro. L’8 settembre 1920 D’Annunzio, nonostante il parere contrario del Consiglio nazionale, proclamò dal suo balcone l’adozione di questa ‘costituzione’, poi trascritta in prosa letteraria dallo stesso “Poeta-Eroe”, che però non ebbe mai alcuna concreta attuazione.

Bizzarra e originale fu l’ideazione delle istituzioni politiche che furono previste in questa Carta e che si richiamarono all’assemblea ateniese, sui governi del comune medievale italiano e sulle istituzioni della Repubblica Veneta. In realtà l’ispirazione di tale modello istituzionale appariva segnata dall’influenza delle dottrine dell’anarco-sindacalismo, che tendevano a decentralizzare il potere, garantendo la “sovranità collettiva” a tutti i suoi cittadini “indipendentemente da sesso, razza, lingua, classe o religione”.

Sono previste due assemblee parlamentari, entrambe elette a suffragio universale, che si sarebbero dovute riunire una o due volte l’anno. Il ruolo centrale veniva assegnato a nove “corporazioni”: marinai, artigiani, insegnanti, studenti, artisti e altri.

Dopo la fine dell’esperienza fiumana alla fine del 1920, De Ambris rientrò a Parma e assunse una posizione dannunziana ed antifascista. Nel maggio 1921 si presentò come candidato indipendente in quanto sindacalista e legionario fiumano alle elezioni politiche per il collegio elettorale di Parma-Reggio Emilia-Modena, con l’idea di costruire un blocco di forze nazionaliste democratiche in grado di opporsi all’ascesa del fascismo. Nonostante il suo prestigio vinsero le nuove forze proletarie emergenti (comunisti, socialisti unitari e popolari).

Insieme a Luigi Campolonghi e a Giulietti che rappresentava il sindacato lavoratori marittimi, si recò poi a Gardone Riviera per convincere Gabriele d’Annunzio a mettersi alla guida di un movimento da convocarsi a Roma il 20 settembre per divenire a furor di popolo “dittatore temporaneo” in modo da realizzare la pacificazione nazionale fra gli ex combattenti.

Tuttavia il progetto non fu portato a termine a causa del serio infortunio subito in agosto dal Vate, precipitato da una finestra della sua villa, 1922. A quel punto Mussolini, che seppe di questo proposito, lo precedette di alcuni giorni con la sua marcia su Roma.

Mentre per intimidazione in precedenza a Parma vi fu un grosso attacco dimostrativo da parte di squadre fasciste capeggiate da Italo Balbo nell’estate 1922. Sconfitto, deluso e insultato dai fascisti alle fine del 1922 De Ambris lasciò l’Italia e si trasferì in Francia.

Nel 1926 fu condannato in contumacia dal regime fascista e perse la cittadinanza italiana nonché gli furono confiscati i beni posseduti in Italia. A Parigi De Ambris guidò un consorzio di cooperative di lavoro aventi l’obiettivo di procurare una sussistenza ai numerosi fuoriusciti antifascisti provenienti dalla provincia di Parma che vivevano allora in Francia.

Si mise subito in contatto con i più famosi esuli democratici tra cui Amendola, Turati, Salvemini, Nenni e fu eletto Presidente della Ligue Italienne des Droits de l’Homme (L.I.D.U.), fondata nel 1922, con Luigi Campolonghi quale Segretario.

In Francia visse gli ultimi anni della sua esistenza in dignitosa povertà e sempre operante nel campo giornalistico e nell’ambito dell’antifascismo militante. Rifiutò sempre di ritornare in Italia anche per le successive proposte giuntegli fin dal 1924 da esponenti del Regime e dal fratello Amilcare.

Alceste De Ambris si spense nel 1934 a Brive durante una riunione organizzativa di esuli politici italiani della L.I.D.U. che era la Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo e fu sepolto nel piccolo cimitero della cittadina francese.



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