Ci sono storie dimenticate e seppellite negli archivi polverosi del tempo quando vi furono martiri della politica che hanno sacrificato la loro vita nella lotta al malaffare mafioso e affaristico. Ed è giusto oltre che un dovere civile celebrare le famiglie oneste e laboriose che si sono schierate contro altre “famiglie di cosa nostra”, spezzando i silenzi e le omertà mafiose di un sistema affaristico che non poteva essere messo in discussione pena la morte di tutti coloro che si mettevano di traverso.
Il caso della famiglia Morreale è una storia emblematica e unica di limpido impegno contro il dominio di violenza e malaffare di Cosa Nostra nel territorio siciliano. Narra della lotta coraggiosa che si tramandò da padre in figlio per il riscatto della povera gente, dei contadini e delle comunità locali.
Oggi resta tanta amarezza poiché il delitto di Calogero “Lillo” Morreale è rimasto impunito e, come in tanti altri casi, non sono stati mai individuati gli autori e i mandanti. L’omicidio di Lillo avvenne il 18 giugno 1975 e in quel momento l’uomo svolgeva il ruolo di segretario della sezione del Partito Socialista Italiano a di Roccamena, piccolo comune agricolo nel palermitano, e rivestiva la carica di responsabile dell’Alleanza contadini.
In quella giornata Lillo stava percorrendo la lunga strada che attraversa i possedimenti di un discusso e potente personaggio, Giuseppe Garda di Monreale, il cui nipote Franco fu sequestrato nel settembre dell’anno precedente. Calogero Morreale fu trucidato a bordo della sua 500, con sette colpi di pistola a tamburo e con una scarica a distanza ravvicinata attraverso il parabrezza.
Due contadini, Giuseppe Calamia e suo figlio, percorrendo a piedi la strada videro la Fiat 500 ferma in mezzo alla strada e avvicinandosi si resero conto che vi era il corpo di Morreale, ucciso poco prima. Il sindacalista socialista lasciò la moglie e due figli.
In quella fase storica il paese di Roccamena si trovava di fronte a scelte fondamentali per il suo futuro con la modifica del piano comprensoriale, il parziale trasferimento dell’abitato che fu danneggiato dal terremoto della Valle del Belice, nonché sull’estensione del vigneto per l’incremento dei redditi agricoli.
E queste battaglie furono portate avanti dalla famiglia di Lillo che da sempre era impegnata nel movimento contadino e nei partiti di sinistra. Morreale si era profondamente ispirato all’esempio del padre Pietro e crebbe senza paura riuscendo a raccogliere attorno a sé un grande consenso di popolo per il suo carisma conducendo una dura lotta contro i privilegi in una terra in cui vigeva lo strapotere mafioso. Infatti il padre di Lillo, Pietro, era stato anche lui dirigente socialista e l’omicidio del figlio affonda le radici nelle battaglie per l’occupazione delle terre incolte.
La vicenda dell’omicidio di Calogero Morreale è il dramma di un’epoca emblematica che non si deve mai dimenticare che dobbiamo tenere sempre viva nella memoria civile.
A conferma di questo fatto, sedici anni prima del delitto di Calogero ed esattamente nel 1949, tentarono di uccidere il padre allorché alcuni mafiosi aspettarono il dirigente politico sotto casa, armati dl lupara. Tuttavia Pietro si accorse anche al buio della presenza degli uomini di mafia che l’aspettavano e questa pura casualità gli permise di salvarsi.
Ebbe anche modo di riconoscere i due assalitori: il primo era il figlio naturale del mafioso Leonardo Giordano che stava a Monreale, e l’altro si chiamava Gioacchino Cascio. Pietro Morreale fece una denuncia ai carabinieri che cadde nel nulla e sparì persino il foglio di carta bollata.
Questo era il clima torbido e colluso nella Sicilia di quegli anni. Nel giorno dell’omicidio del figlio Pietro fu travolto dal dolore immenso tra le lacrime davanti al cadavere del figlio promise che non si sarebbe arreso alla lotta contro la mafia e che si sarebbe sempre battuto per il riscatto dei contadini.
E quindi non espresse nelle sue parole né rassegnazione e né fatalismo, anzi, promise che la battaglia sarebbe continuata. “Se credono che ammazzando mio figlio ci mettono paura e che rinunceremo alla nostra battaglia, non hanno capito niente. Proprio per il dolore che provo sono pronto ad andare in piazza e a tenere un comizio ai compagni, ho sessantasette anni e hanno tentato di ammazzarmi venticinque anni fa, ora mi hanno ucciso il figlio, ma se è necessario, comincio da capo. Non ci fanno paura”.
Il sindaco del paese era Santo Stagno, a capo di un’amministrazione di Sinistra, manifestò il suo sdegno e la sua rabbia: “Sono arrivati all’omicidio per intimorire noi e tutta la popolazione. Il disegno dei mafiosi che hanno ordito l’assassinio è quello di ripetere a Roccamena, quanto sperimentarono a Sciara, con il delitto Carnevale, che riuscì a far scomparire per un lungo periodo e tempo il partito. I tempi però sono profondamente mutati. Non ci facciamo intimidire”.
Da ricordare a tal proposito che la famiglia Morreale operò e svolse la sua attività nel territorio a forte presenza mafiosa della Sicilia occidentale che comprendeva Corleone, Alcamo e Borgetto e continuò negli anni dove vissero a Roccamena con la ferma denuncia delle continue intimidazioni che furono messe in atto dall’ex feudatario del territorio di Contessa, Petraro, che fu preso in affitto trentennale dal Consorzio di Bonifica del medio e alto Belice.
Pare che proprio in seguito a questa vicenda. Lillo Morreale, proseguendo l’impegno del padre, fece una dura battaglia sindacale che in pochi anni portò contadini di Roccamena, a modificare totalmente il panorama agricolo della zona, che passarono dalle colture estensive a quelle intensive specie della vite. Morreale contribuì in modo determinante al rafforzamento e alla crescita del movimento cooperativistico.
Il delitto si inquadrò anche nel clima politico del piccolo comune siciliano che era retto da una giunta di sinistra impegnata a cancellare il retaggio di omertà e di complicità con i grandi proprietari, che venivano notoriamente praticate dalla precedente giunta in cui vi erano democristiani e missini.
Due anni prima ci fu un forte e duro scontro elettorale tra gli attivisti del Partito Socialista Italiano contro la DC cittadina, che secondo il sindaco Stagno sosteneva e proteggeva la mafia della zona. Nelle elezioni amministrative vinse l’alleanza di sinistra tra socialisti e comunisti e ciò non avveniva dal 1956.
La reazione dei mafiosi non si fece attendere sino al punto che avvenne il fatto clamoroso del sequestro di tre consiglieri comunali di sinistra, provocando un’ovvia ondata di panico. Ancora oggi sappiamo soltanto che Lillo Morreale probabilmente venne ucciso per aver sospettato imbrogli riguardo ai lavori per l’invaso Garcia, che avrebbero favorito potenti famiglie siciliane.
Nonostante il padre Pietro abbia accusato apertamente i mafiosi della zona, le indagini furono destinate ad arenarsi in un nulla di fatto. Il delitto di Calogero Morreale rimarrà, così, impunito e, sul suo omicidio, non fu mai raggiunta alcuna verità processuale.
L’allora giudice istruttore Paolo Borsellino, così scriveva la sentenza che archiviava le accuse di favoreggiamento nei confronti di tre potenziali testimoni: “A causa della sua intensa attività politico-amministrativa, espletata in un ambiente sociale ove i privati interessi vengono prepotentemente difesi da parte degli interessati a discapito del bene pubblico e in acerrimo conflitto con loro, Calogero Morreale aveva per certo con numerosi individui e nuclei familiari notevoli ragioni di contrasto, in special modo con riferimento alla regolamentazione dell’ attività urbanistico-edilizia e alla promozione di attività cooperativistiche, delle quali s’era di recente ampiamente interessato”.
La mancanza della sentenza, ha, inoltre, reso impossibile il riconoscimento a Calogero Morreale, da parte dello Stato, di “Vittima della mafia”.
Resta solo il ricordo indelebile degli anziani di Roccamena che non dimenticano quei tragici giorni di giugno del 1975 quando la salma venne trasportata nella sua umile abitazione dove una folla di cittadini gli rese omaggio per tutto il giorno.
Poi il trasferimento nella sala del Consiglio comunale dove fu allestita una camera ardente. Giunsero da tutta la Sicilia delegazioni di socialisti e sindacalisti per dare l’ultimo saluto a questo uomo di intrepido coraggio e di grandi valori ideali.