Il giurista Guillaume Grégoire osserva in una colonna che la decisione della Corte costituzionale tedesca contro la BCE evidenzia sia il conflitto tra giurisdizioni europee sia la mancanza di democrazia nella governance economica dell’Unione.
Colpo di fulmine nel cielo già nuvoloso dell’economia europea. La Corte costituzionale tedesca, in una decisione di ampia portata, martedì 5 maggio, per il futuro dell’integrazione europea, ha fortemente criticato la politica di riacquisto del debito pubblico della Banca centrale europea (BCE).
In tal modo, ha contestato direttamente l’autorità della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), che aveva precedentemente convalidato questo programma sulla base di una domanda preliminare posta da questi stessi giudici tedeschi. Dietro la “guerra dei giudici” incombente e le conseguenze istituzionali ed economiche che essa implica, questo confronto è tuttavia solo prevedibile, se non inevitabile, risultato della standardizzazione, nei trattati europei, di principi particolarmente precisi di governo pubblico dell’economia.
Dopo le famose sentenze Costa / Enel (15 luglio 1964) e Internationale Handelsgesellschaft (17 dicembre 1970), con le quali la CGUE ha affermato il primato assoluto del diritto europeo sulla legge degli Stati membri, anche costituzionale, la questione di “Potere dell’ultima parola” tra le corti supreme nazionali ed europee.
Allo stato attuale, questa domanda non può in realtà trovare una risposta assoluta, dal momento che, dal punto di vista interno degli Stati membri e delle loro rispettive giurisdizioni costituzionali, i trattati europei sono validi solo a causa della loro integrazione nel diritto nazionale dalla legge, o anche da una disposizione costituzionale. Pertanto, questi trattati restano soggetti in ogni caso (anche come ultima risorsa) all’autorità del tribunale nazionale supremo.
Pertanto ci troviamo in una situazione in cui, nell’ambito della rispettiva logica giuridica dell’Unione europea e degli Stati membri, ognuno considera legittimo imporre la propria autorità e le proprie decisioni! Senza offesa per alcuni, questa situazione è in realtà solo la traduzione giudiziaria del dibattito ricorrente sulla sovranità – che, per definizione, non può essere condivisa.