C’è una forma riservata di Largo dolore in questo momento del paese per la scomparsa di Silvio Berlusconi non poteva non essere così. Ha segnato la vita pubblica per un periodo assai largo della nostra storia ed ha rappresentato un modello a cui si sono ispirati non soltanto in Italia ma anche nel mondo. L’imprenditore che si trasforma in politico e riesce ad eccellere in entrambi i campi. Un caso raro, rarissimo che tuttavia ha collegato sentimentalmente, anche i sentimenti di ostilità sono sentimenti, il nostro popolo alla parabola esistenziale di Silvio Berlusconi. Ne parleranno in tanti, mi compete soltanto in queste ore, fare se possibile testimonianza evitando la retorica di chi non si attarderà al adagio “io lo conoscevo bene”
Silvio fu amico della mia famiglia, di mio padre e come tale ho avuto il privilegio di stargli accanto in occasioni non rituali, in frangenti anche piuttosto importanti.
Era amico dei socialisti nel senso che riconosceva a questa antica e nobile tradizione politica il principio della libertà sia essa nel campo dei diritti civili che nel campo delle politiche economiche. Insomma eravamo di sinistra ma non eravamo per l’abolizione della proprietà privata, nonostante Proudhon fosse un filosofo di riferimento.
Non ho avuto modo di frequentarlo in questi ultimi trent’anni, il trauma del 94 segnò per sempre la nostra esistenza, quando avevo occasione di poterlo incontrare per riferire messaggi avveniva in piena discrezione nel buio delle notti romani.
Lo reincontrai solo al ritorno dal nostro esilio Tunisino dove per sei anni non si materializzò mai, tranne al funerale di mio padre. Pasticciò politicamente quando si trattò di spingere per una grazia presidenziale per mio padre; le cose oramai avevano fatto il loro corso, noi alla macchia e lui guidava una formazione politica che rappresentava il 30% degli italiani circa, un altro mondo. I socialisti indicati come la sentina di tutti i mali, i nuovi che provenivano dalla società civile incarnavano ormai la nuova Italia. Nel 2001 ottenemmo un esilio in patria, acconsentì all’elezione di qualcuno di noi, ma ormai Berlusconi per me non era più Silvio era l’uomo politico il Dominus del bene e del male della politica italiana. Dopo il 2006 non ebbi praticamente alcun contatto con lui seguivo da lontano le sue evoluzioni, anzi le sue involuzioni.
Ho avuto modo di rivederlo due anni fa or sono, tanta acqua passata sotto i ponti, segnato e provato dalle vicende che lo hanno consegnato alla storia anche come uno “sfruttatore della prostituzione”. I suoi meriti saranno ben altri e la Storia glieli riconoscerà essendo stato un esempio unico nell’Europa occidentale di costruttore di una forza politica che ho saputo intercettare un sentimento largo e diffuso degli italiani, popolare ma anche elitario, liberale ma anche autocratico.
L’Ultima volta che lo vidi era solo; la classica solitudine dei leader e degli uomini circondati da tanto affetto ma spesso anche da un sentimento interessato. Non fu il mio caso in quel frangente, mi volle rivedere dopo diversi anni.
Per lui sono stati anni di gloria, di battaglia politica, di soddisfazioni e insoddisfazioni; sempre giustamente sulla cresta dell’onda. Mi disse che era felice che il giudizio su Bettino stesse cambiando, che la storia gli stesse dando ragione.
Replicai che seppur medesima fosse la soddisfazione, mio padre morì giovane e per noi sono stati trent’anni di sofferenza personale che ci saremmo volentieri risparmiati, oltre che di fortune alterne; però questa è stata la vita. Gli sconsigliai di entrare nel tritacarne Quirinalizio, negava fintamente l’interesse, in ogni caso mi dichiarai convinto che nel caso di un ballottaggio con Draghi i voti democratici non gli sarebbero mancati.
Era felice della sua nuova condizione sentimentale e fiero dei propri figli.
Ci teneva a mostrarmi la sua pinacoteca “segreta” rimanemmo per più di un’ora in contemplazione delle cinquemila opere che erano conservate. L’eterna fanciullezza e la proverbiale noia dei possidenti.
Insistette perché rimanessi a dormire ad Arcore. Lo lasciai, convinto che il mio rifiuto fosse più gradito. Lo salutai come accadeva le molte domeniche che passammo assieme con i miei genitori in quella casa.
Ero convinto che sarebbe stata l’ultima volta che lo vedevo. E così fu.