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Giorgia Meloni e la rivoluzione di se stessa

by Romano Franco

In campagna elettorale si era distinta per essere l’unico grande partito all’opposizione di Draghi, ma, levata la maschera Giorgia Meloni si rivela il leader più draghiano di tutti; dopo la premiata ditta: Calenda e Renzi.

Nominare al ministero dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha definito Draghi Cristiano Ronaldo, non ha aiutato molto la nuova premier a cancellare l’impronta del vecchio Esecutivo.

Poi abbiamo il ministro la qualunque, Roberto Cingolani, colui che quando parla dà seguito a speculazioni con le sue dichiarazioni confusionarie e discordanti; oggi nominato consigliere “supremo” del governo Meloni.

Il “grande” ministro della transizione ecologica, che ha riaperto con entusiasmo centrali a carbone e ha portato l’Italia nell’800, si è distinto per essere uno dei peggiori dell’Esecutivo precedente; nonostante la sfida a ribasso fosse combattuta da pezzi da 90′ del calibro di Di Maio e Speranza.

Ma Giorgia Meloni, ieri e oggi, si è presentata in Parlamento per chiedere la fiducia al nuovo esecutivo, che cambia solo le facce rispetto a quello precedente.

Infatti, la politica della nuova premier, pare in perfetta sintonia con quella del governo precedente.

Dalla politica estera a quella economica, la leader di Fratelli d’Italia non cambia una virgola rispetto alle direttive pro establishment messe in atto da Draghi.

La conferma del fatto che la Meloni sia pro élite arriva proprio da Confindustria.

Il numero uno degli industriali Carlo Bonomi, uno dei più grandi ammiratori di Draghi che ha definito l’ex premier come un uomo della provvidenza, non ha esitato a tessere l’elogio della nuova Presidente del Consiglio.

“Abbiamo apprezzato molto innanzitutto l’aver riaffermato la collocazione internazionale italiana, quindi in Europa è atlantista, e abbiamo particolarmente apprezzato il fatto di aver messo al centro anche il tema del lavoro a 360 gradi”.

“L’Italia – dice la neo premier – è a pieno titolo parte dell’Occidente e del suo sistema di alleanze, Stato fondatore dell’Unione europea, dell’eurozona e dell’alleanza atlantica”, come se qualcuno avesse mai messo in discussione la collocazione del Paese”.

“Quest’ultima – prosegue Meloni – garantisce alle nostre democrazie un quadro di pace e sicurezza. L’Italia continuerà a essere partner affidabile in seno all’Alleanza atlantica, a partire dal sostegno al popolo ucraino che si oppone all’invasione russa”, che in soldoni vuol dire armi su armi fino a quando la Russia non perde.

Nessuno pare abbia mai messo in discussione l’alleanza Atlantica, in precedenza, ma all’interno della Nato, purtroppo, ci sono padroni e sotto. Ed è proprio questo il sistema da sovvertire.

Trattandosi di alleanza, e visto che nessun Paese di essa è stato attaccato dalla Russia, ognuno teoricamente potrebbe esprimere liberamente la propria linea politica, sia che vada a vantaggio dell’Europa che degli stessi interessi ucraini che muoiono, di sicuro, anche a causa delle armi noi occidentali. Ma così non è.

Il ruolo degli Stati Uniti all’interno della Nato è preponderante e troppo spesso e volentieri si assiste alla messa in pratica del suo potere imperiale sugli altri Stati dell’Alleanza.

Poteva essere questa l’unica nota positiva del nazionalismo tanto decantato della Meloni: non farsi mettere i piedi in testa.

Ma in poco tempo la leader di FdI è diventata una fervente europeista e si è piegata al volere degli americani. Senza battere ciglio.

Tutto pur di arrivare presto a riempire le poltrone che contano.

Si può dire che la rivoluzione di Meloni sia durata fino alla fine della campagna elettorale e dopo qualche arrocco, come il cambio di nome e di facce di alcuni ministri e ministeri, tutto è ritornato come prima e il nuovo esecutivo, esattamente come quello precedente, è intenzionato a mettere in pratica politiche a favore della speculazione e delle lobby di armi.

Meloni l’europeista

La trasformazione di Meloni da nazionalista ad europeista passa da Palazzo Chigi. Fortunatamente questo non rappresenterebbe un vero e proprio male, se la dirigenza europea non fosse legata a doppio filo con l’alta finanza.

Nel mondo di domani tutti vorrebbero meno frontiere e più diritti uguali per tutti.

Ma nel mulino che vorrei non esiste il problema delle dirigenze europee e statali sempre più vicine all’industria di: automotive, energia, farmaceutica e bellica.

Meloni l’erede di Draghi

Tuttavia Meloni ha già cominciato a mettere in moto la sua narrazione, e così afferma: “La strada per ridurre il debito non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra l’unica possibile è la crescita economica, duratura e strutturale”.

Un modo come un altro per garantire la riforma del Patto di stabilità e crescita che Draghi ormai definiva “inevitabile”.

Nessuna novità su come agirà contro il caro-bollette, nulla sugli extra-profitti o sullo scostamento di bilancio.

La Meloni naviga a vista ed è alla costante ricerca della solidarietà europea.

Infatti, la premier, dopo averne dette di tutti colori contro l’Europa può pure “vantare” un centesimo dell’influenza e della leadership che aveva il suo predecessore nella stessa Ue.

“Il motto di questo governo sarà: non disturbare chi vuole fare”, dice Meloni. Poche tasse a privati e ricchi, a discapito di servizio pubblico e Welfare.

Tuttavia la rivoluzione gattopardiana della Meloni riguarda proprio la giustizia, poiché secondo il nuovo ministro quasi ottuagenario, Carlo Nordio, la linea Cartabia, tacciata da tutti i magistrati dell’antimafia come pericolosa, “era quella giusta”.

Insomma, alla fine della fiera i cittadini italiani sono andati a votare per cambiare poco o nulla rispetto al governo precedente.

E non ci possiamo meravigliare del fatto che i cittadini credano sempre molto meno nel potere del voto popolare poiché, non importa chi si vota, ad ogni votazione cambia poco o nulla. Della serie “Francia o Spagna purché se magna”.

Ancora una volta i politicanti, rivoluzionari dell’ultima ora, hanno convinto la popolazione che un cambiamento radicale fosse possibile ma, col senno di poi, hanno fatto la scelta giusta gli aventi diritto che hanno rinunciato al proprio voto poiché, ahinoi, nessun cambiamento di rotta vi è stato per l’Italia e chi si auspicava una piccola grande rivoluzione dovrà tristemente ricredersi poiché, cari signori, l’ennesima ciarlatana è salita al potere, non per cambiare l’Italia, ma solo per pura ambizione personale.

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