Di Gaia Marino
L’entourage di Jamal Khashoggi, editorialista saudita del Washington Post assassinato il 2 ottobre 2018 a Istanbul, in Turchia, era sotto sorveglianza. Diversi mesi di un’indagine di Forbidden Stories e sedici media, tra cui il Washington Post, confermano di persone intime della vittima che sono state prese di mira da Pegasus. Un’analisi tecnica mostra addirittura la presenza di questo spyware sul telefono di uno di loro pochi giorni dopo l’assassinio.
NSO Group, la società israeliana che commercializza questo spyware ultrasofisticato, ha sempre affermato che il suo strumento non è mai stato utilizzato per monitorare il signor Khashoggi o la sua famiglia. Tuttavia, il telefono di Hanan El-Atr, un’assistente di volo egiziana di cui si era innamorato Khashoggi, è stato oggetto di tentativi di infezione da Pegasus.
Quattro messaggi di testo contenenti link che, se cliccati, avrebbero permesso allo spyware di penetrare nel telefono, gli sono stati inviati nel novembre 2017 e nell’aprile 2018, diversi mesi prima dell’omicidio di Jamal Khashoggi. A causa di limitazioni tecniche specifiche di Android, il software che alimenta il suo telefono, non è stato possibile determinare se il dispositivo fosse effettivamente infetto.
Durante il periodo in cui è stata presa di mira da Pegasus, la signora El-Atr ricorda di aver incontrato Jamal Khashoggi tre volte e di aver scambiato numerosi messaggi e chiamate con lui. Le aveva insegnato a destreggiarsi tra le diverse applicazioni di chat, pensando di superare in astuzia la sorveglianza.
“Jamal mi ha detto che questo potrebbe accadere”, ricorda la signora El-Atr, dagli Stati Uniti dopo aver appreso dello spyware. “Mi fa pensare che [le spie] sapessero tutto quello che stava succedendo a Jamal attraverso di me”, conclude la signora El-Atr.