Lasciamo agli esperti di geopolitica le analisi e le soluzioni del disastro che gli Stati Uniti, con la complicità dei Paesi della Nato, hanno determinato in queste ore nella già martoriata Afghanistan, di cui erano causa.
Del resto sono quegli stessi “esperti” che peroravano e invocavano l’intervento statunitense, per portare la democrazia a Kabul.
Oggi come ieri, non chiedono l’intervento di una forza internazionale di pace, che solo l’Onu potrebbe rendere disponibile, ma il ritorno delle forze armate statunitensi.
I nostri media, eccetto qualcuno, sono portatori d’acqua e evidentemente, del fuoco, per riaccendere lo scontro bellico sotto l’egida del grande sceriffo americano.
Noi adesso però fermiamoci a riflettere, sugli effetti di immagine che ha determinato l’uscita dall’Afghanistan degli americani e degli alleati della Nato, insediatisi con una violenza nota a pochi, da oltre vent’anni.
Osserviamo che, con l’ingresso pressoché pacifico dei talebani a Kabul, a essi sono state trasferite armi e logistica di ultima generazione, già assegnate alle forze istituzionali.
Unitamente all’intero apparato statale, cui le truppe occupanti avevano cercato di assegnare una struttura, i talebani hanno acquisito strumenti bellici di fornitura occidentale, insieme alle munizioni e un complesso supporto strumentale, cui immaginiamo qualcuno renderà edotti, se non siano già stati addestrati a farlo.
La compilazione delle liste dei profughi, di coloro che potevano essere imbarcati sugli arei in partenza da Kabul, evidentemente non è avvenuta con l’immediato insorgere del problema derivante dall’occupazione talebana.
L’ammassarsi all’aeroporto di Kabul dei tanti esclusi da quelle liste, cui era banale prevederne l’azione, ha costituito il più grande strumento di propaganda statunitense degli ultimi venti trent’anni.
Su tutti i canali televisivi del Pianeta, quella consistente quantità di richiedenti asilo, in realtà parte più che esigua dell’intera popolazione afghana, ha falsamente rappresentato agli occhi dell’Occidente e non solo, l’intero volere di una popolazione tutt’altro che omogenea, sul piano politico e sociale.
Pur credendo nella spontaneità dei militari che correvano in soccorso ai bimbi e alle donne, in un sol colpo quell’esercito, insediatosi da vent’anni e che nei precedenti venti aveva fomentato una sanguinosa guerra, è divenuto l’esercito della salvezza agli occhi del Pianeta incredulo.
Sono stati spazzati via anni di atrocità e violenze perpetrate da un esercito regolare, che in perfetto accordo con quelli degli alleati nella Nato, si era insediato sotto la risibile copertura, mai attuata, della lotta al terrorismo islamico e la realizzazione di uno stato democratico.
Il tam tam mediatico e politico internazionale dell’Occidente, richiede a gran voce il ritorno degli Usa e della Nato, senza mai ipotizzare un intervento Onu di garanzia e tutela, in cui anche i Paesi non Nato sarebbero coinvolti nella ricerca di una via per la pace.
Perché, nei fatti, sembra essere l’unico movente, quello per il quale, in Afghanistan, non si deve avere una pace e una stabilità in senso democratico.
E questa non lo si potrà avere, come in altre migliaia di angoli del Pianeta, se le parti che fomentano l’instabilità non trovano un’intesa nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Oggi più che mai l’Assemblea generale dell’Onu è l’unico organo attraverso cui governare la pace sul Pianeta, ricercando le vie democratiche per attuarla.
L’instabilità afghana costituisce una bomba a tempo, almeno per tre potenze mondiali, sicuramente per quella che prenderà il posto degli Stati Uniti, almeno queste sembrano essere le premesse.
Ovviamente una simile cinica decisione, con cui sono state messe a repentaglio le vite di tanti afghani, è stata messa in ombra da un pianto in diretta internazionale del Presidente statunitense, con cui far commuovere l’Occidente incollato alla poltrona.
Forse più che aspettare cosa faranno i talebani, per poi giudicarli, come dice il nostro Ministro degli esteri, o manifestare sdegno per gli attentati commessi in queste ore, come ha esternato il Presidente del Consiglio, dovremmo cercare di coinvolgere l’Onu e lavorare per inviare un contingente per la garanzia del popolo afghano e di chi vuole espatriare.