Una grave situazione dell’ordine pubblico quella in Calabria che certamente non si può risolvere solo con le continue retate e con operazioni delle forze dell’ordine.
Lo capirà chi di dovere? Ne prenderà consapevolezza la classe politica di una regione che tra l’altro si prepara ad andare al voto per eleggere il nuovo Governatore. Dubitarne è lecito.
A conferma di tutto ciò, ancora una volta, in area nevralgica qual è Gioia Tauro si riscuotevano pizzo e si imponevano orari e prezzi dei prodotti agli imprenditori. E infatti sono stati arrestati 12 esponenti della cosca Piromalli. Sono finiti in carcere anche i boss Girolamo Piromalli detto Mommino e Salvatore Copelli, il nipote del capostipite di questa famiglia di ‘ndrangheta Giuseppe Piromalli, più noto con il nome di Facciazza, che tra l’altro proprio recentemente era stato scarcerato.
Risultano in tal modo indagate dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria 21 soggetti e il procuratore capo di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri che dichiara che in questi fatti “emerge tutta la difficolta di fare impresa in questi territori con la consapevolezza di dover sottostare a dinamiche che non prevedono solo il pagare il pizzo, ma anche la regolamentazione della propria attività commerciale”.
E Bombardieri ribadisce concetti già affermati tante volte e su cui dovremmo riflettere: “Quelle strade sono controllate dalla ‘ndrangheta. Loro vogliono dimostrare in maniera chiara e indiscutibile che i commercianti devono sottostare a questo sistema”.
Affiora in modo prepotente nell’operazione Geolja il concetto delle “strade” a cui si riferisce il magistrato sono quelle di Gioia Tauro, il territorio dove i Piromalli spadroneggiano ancora dopo decenni indisturbati su tante tantissime attività.
C’erano due imprenditori che avevano avviato un attività con un panificio ‘L’arte del pane’ e allora come avvoltoi si sono accaniti con queste persone e i boss gli hanno incendiato l’esercizio commerciale poiché non solo chiedevano il pagamento del pizzo ma che anche i prodotti in vendita avessero un determinato prezzo, e persino l’imposizione dell’orario di apertura del negozio e il periodo di ferie.
A emettere i provvedimenti con l’ordinanza di custodia cautelare è stato il Gip Valerio Trovato appunto su richiesta del procuratore, Giovanni Bombardieri. Oltre ai sopracitati personaggi, i carabinieri hanno arrestato anche Francesco Copelli, Domenico Copelli, Antonio Gerace, Domenico Ragno, Domenico La Rosa, Vincenzo La Rosa, Antonino Plateroti e Rocco Molé.
Mentre agli arresti domiciliari sono stati posti Giuseppe Pesce e Rocco Giovinazzo. Proprio a questi ultimi, che sono gli esponenti della cosca Pesce di Rosarno, si erano rivolti i titolari del panificio per “mettersi a posto” con la famiglia mafiosa di Gioia Tauro.
Quindi sono ben 21 gli indagati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e, adesso, con l’operazione Geolja si sono ricostruiti gli organigrammi e gli assetti della ‘ndrangheta che erano stati stravolti dai contrasti in seguito all’omicidio del boss Rocco con le conseguenti operazioni giudiziarie.
La vicenda ha inizio con l’incendio del panificio che è avvenuto nella notte tra il 18 e il 19 agosto 2019 e successivamente le vittime avevano fatto richiesta di accedere al fondo di solidarietà del Ministero dell’Interno per le aziende che vengono fatto oggetto di attentati dolosi.
Cosicché i carabinieri in seguito ad intercettazioni hanno udito le loro conversazioni e hanno potuto ricostruire l’estorsione imposta dai Piromalli: “Sono venuti con l’intenzione di distruggere perché noi non abbiamo capito circa dieci, quindici volte. Quando quello veniva per soldi, quello, quello là, faceva lo ‘sciacquino’ suo”.
E ancora: “Io sai quando ho capito che sarebbe successo qualche cosa? Quando Nino Copelli non venne più!”.
Allora gli esercenti del locale sono stati costretti a chiudere questa attività commerciale per diversi mesi e poi sono stati autorizzati dalla ‘ndrangheta a riaprire pagando con regolarità il pizzo e con la condizione di avere imposto i prezzi dei prodotti, orari e periodi di ferie, tutto ciò per non danneggiare l’attività concorrente dell’arrestato Antonio Gerace.
A tale proposito il procuratore Bombardieri afferma che “il dato preoccupante è la consapevolezza da parte degli imprenditori che, per avviare un esercizio commerciale, occorre la ‘messa a posto’”.
E nelle intercettazioni si sente una persona vittima delle vessazioni che, parlando con la fidanzata, spiega il funzionamento del “sistema ‘ndrangheta” a Reggio Calabria e a Gioia Tauro facendo riferimento ai dialoghi del film Il Camorrista: “Pagano tutti, un’offerta al Santo la fanno tutti quanti! L’offerta al Padre Eterno! Come il film il professore vesuviano, ogni mese passerà da voi un santo, e ognuno avrà il proprio Santo”.
Il procuratore capo di Reggio Calabria è assai allarmato e sottolinea che in questa vicenda “emerge tutta la difficolta di fare impresa in questi territori con la consapevolezza di dover sottostare a dinamiche che non prevedono solo il pagare il pizzo, ma anche la regolamentazione della propria attività commerciale. La richiesta estorsiva non era finalizzata solo al ritorno economico. Il controllo del territorio è molto più pericoloso, pervasivo e inquinante della sola richiesta del pizzo. In questo modo controllano l’economia”.
“I Piromalli rimangono la cosca di riferimento – dice il procuratore aggiunto Gaetano Paci – non c’è dubbio che il ruolo principale nella gestione della ‘ndrangheta sul territorio di Gioia Tauro spetti ai Piromalli. Questo è indiscutibile. L’inchiesta documenta l’asservimento degli imprenditori che operano sul territorio a ferree logiche mafiose. Gioia Tauro è un territorio che soggiace a una morsa strettissima da parte della storica cosca dei Piromalli. Abbiamo documentato attraverso questi episodi estorsivi una modalità mafiosa di gestione del mercato”.