La nuova ricerca di Amnesty International evidenzia una realtà terribile in Iran. Sono almeno 44 i minorenni uccisi dalle forze di sicurezza iraniane.
Le proteste dei ragazzi non si placano e la denuncia di Amnesty parla di metodi crudeli con cui le famiglie venivano costrette a restare in silenzio ostacolando anche lo svolgimento di funerali e commemorazioni.
Secondo la Ong 34 dei 44 minorenni uccisi sono stati colpiti da proiettili diretti al cuore, al capo e ad altri organi vitali. Altri quattro sono stati uccisi da pallini di metallo esplosi da breve distanza; cinque, tra cui una ragazza, sono morti a seguito di pestaggi; infine, una minorenne è morta dopo essere stata colpita al capo da un candelotto lacrimogeno.
L’età di 39 delle vittime di sesso maschile andava dai due ai 17 anni; una bambina aveva sei anni, le altre quattro tra i 16 e i 17 anni.
I minorenni rappresentano finora il 14 per cento del totale delle persone uccise durante le manifestazioni. In 12 casi le autorità iraniane hanno attribuito le loro morti ad “azioni di terroristi”, suicidi, overdose, morsi di cani o incidenti stradali.
Il 60 per cento dei minorenni uccisi dalle forze di sicurezza apparteneva alle minoranze oppresse baluci e curda: 18 delle 44 vittime erano baluci, 10 curde.
Ma oltre al danno di aver visto un loro caro così giovane perdere la vita per colpa delle autorità che avrebbero dovuto proteggerli, diverse famiglie subiscono addirittura minacce e ritorsioni per non divulgare le atrocità che hanno subito.
In almeno 13 casi diverse famiglie hanno dovuto approvare la versione delle autorità in forma scritta o attraverso video poi trasmessi dalle tv di stato iraniane.
Nel caso in cui si oppongano, i parenti delle vittime vengono minacciati di arresto, morte, stupro e uccisione di altri minorenni della famiglia oppure viene detto loro che i loro cari verranno sepolti in luoghi sconosciuti o che le salme non verranno restituite per i funerali.
In alcuni casi, i familiari sono stati obbligati a seppellire i loro cari in località remote, a non usare la parola “martire”, a non produrre manifesti coi loro volti e a non condividere immagini sui social media. Il livello di oppressione a cui è arrivato il regime di Khameni deve essere una vera tortura per i poveri iraniani tanto che, per alcuni, affrontare la morte diventa quasi una liberazione.