Gaetano Arfè visse i primi anni della sua vita a Somma Vesuviana (Napoli) e suo padre, Raffaele, maestro elementare, fu immediatamente impegnato come segretario della sezione socialista e fu sottoposto per tale motivo alla ‘vigilanza politica’ già durante il periodo giolittiano. Trasmise al figlio Gaetano sin dall’età giovanile i valori del socialismo, della solidarietà e della fratellanza.
Già a 17 anni, nel 1942, Gaetano Arfè si avvicinò a un gruppo clandestino legato al Partito d’azione che fu capeggiato da un libraio ex comunista, Ettore Ceccoli, che ebbe rapporti d’amicizia con Benedetto Croce e che consentì l’amicizia di Arfè con il filosofo Croce che invitò il giovane a leggere e meditare «la storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, la storia del Risorgimento di Omodeo e quella del liberalismo europeo di De Ruggiero, e, infine, particolarmente raccomandate, le lettere di Silvio Spaventa dal carcere di Santo Stefano».
S’iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Napoli ma si trovò sotto la vigilanza della polizia, e, quindi, fu allontanato dalla città e inviato a Sondrio presso uno zio paterno. In questa città nel 1944, fu incarcerato per aver costituito, un piccolo gruppo che si mise a collaborare con azionisti e socialisti. Liberato dal carcere fu ammonito ma riprese l’attività clandestina in Valtellina, con un lavoro di collegamento tra Milano, Sondrio e la Val Grosina, poi in montagna, in una formazione di Giustizia e Libertà.
Dopo la della Liberazione si iscrisse al ricostituito Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP). Successivamente fece ritorno a Napoli e riprese gli studi e grazie alle agevolazioni riservate ai reduci, riuscì a conseguire due lauree in tre anni: la prima in storia con Nino Cortese su Silvio Spaventa, la seconda in filosofia su Bertrando Spaventa. Frequentò con dedizione e continuità gli ambienti culturali e politici napoletani e strinse nuove amicizie tra cui quella con Giorgio Napolitano.
Fu molto condizionato dall’insegnamento di Croce e rimase deluso, però, come, tanti altri intellettuali dalla scelta monarchica del filosofo. Vi fu in questo ambiente una corrente di sostegno all’azionismo, alla sinistra liberale e, quindi, un apprezzamento per la svolta di Salerno sancita da Palmiro Togliatti.
Arfè frequentò i locali di un deposito in via Mezzocannone, che fu adibito a biblioteca della Facoltà di Economia e che fu il centro culturale di dibattito, incontro e confronto tra un’ampia e variegata cerchia di intellettuali. Arfè pose la sua candidatura all’esame di ammissione dell’Istituto italiano per gli studi storici fondato da Croce e diretto da Federico Chabod. Fu esaminato da una commissione composta dagli stessi Croce e Chabod, nonché da Alessandro Casati e Raffaele Mattioli. Fu ammesso alla frequenza nell’anno 1948-49, e fu titolare di una borsa l’anno seguente. In questo periodo, si legò a figure future di grandi storici italiani quali Francesco Compagna, Rosario Romeo, Giuseppe Giarrizzo e Giuliano Procacci. Approfondì in quegli anni la questione meridionale dalle tesi di Gaetano Salvemini e Antonio Gramsci, partecipando attivamente al dibattito nazionale e recensendo positivamente l’opera di Romeo edita da Laterza Il Risorgimento in Sicilia (Bari 1950) sulle pagine del quotidiano ufficiale socialista l’Avanti!.
L’idea di Arfè fu quella di un ambizioso progetto di studio sulla classe dirigente meridionale e sulla creazione dello Stato unitario. Nel frattempo maturò oltre l’impegno culturale anche quello politico e, dopo la nascita della Repubblica nel 1946, durante la campagna per le elezioni politiche dell’aprile 1948 fu arrestato e poi rilasciato in seguito all’uccisione di un manifestante monarchico per mano di un militante comunista. Arfè si limitò in quell’occasione soltanto a mettere in salvo il padre Raffaele. Militò nella Federazione giovanile socialista (FGS) che fu ricostituita dopo la guerra. Cosi ebbe modo di conoscere Giorgio Ruffolo, Rino Formica e Livio Maitan, che fecero parte della corrente di ‘Iniziativa socialista’, che si ispirò a Eugenio Colorni e che fu improntata all’autonomismo e all’europeismo, e che fu capeggiata da Mario Zagari e Leo Solari.
La FGS fu nettamente intrisa dalla linea ‘autonomista’, quindi, contraria all’alleanza con il PCI. Infatti nella scissione di palazzo Barberini la maggioranza della FGS abbandonò il PSIUP e si schierò con il Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI) di Giuseppe Saragat, e, cosi, sia Arfè che la fidanzata, Anna Pagliuca, aderirono a questo partito.
Arfè, insieme a Maitan, Ruffolo e Formica furono vicini per un breve periodo alle posizioni della IV Internazionale trotzkista. Nel 1950 Arfè risultò vincitore di un concorso nei ruoli degli archivi di Stato e fu destinato a Genova, dove ebbe modo di fare la conoscenza di Fernand Braudel.
Ritornò a Somma Vesuviana e fu trasferito all’Archivio di Stato di Napoli, dove lavorò alla ricostruzione dei registri della Cancelleria angioina distrutti dai nazisti. Riprese l’attività politica come membro del comitato direttivo cittadino del PSI e responsabile della commissione cultura sotto la segreteria di Francesco De Martino. Qui avvenne l’episodio che segnò il suo destino intellettuale e la sua vita personale. Durante i lavori del Convegno patriottico della gioventù meridionale organizzato dal Movimento per la rinascita del Mezzogiorno guidato da Giorgio Amendola, fu segnalata alle autorità di pubblica sicurezza al competente ministero che Arfè, in quanto funzionario pubblico, non avesse il diritto di svolgere attività politica.
Il ministro dell’Interno Mario Scelba adottò un provvedimento punitivo e ordinò il trasferimento a Firenze di Arfè. Qui entrò in contatto, grazie a De Martino e Amendola, con esponenti socialisti e comunisti come Foscolo Lombardi, Romano Bilenchi, Cesare Luporini, Mario Fabiani e Delio Cantimori, mentre Carlo Francovich gli fece conoscere Piero Calamandrei, Enzo Enriques Agnoletti, Giorgio Spini, Nello Traquandi, Tristano Codignola e il senese Mario Delle Piane, Gaetano Salvemini e Ernesto Rossi. Dopo ebbe anche modo di stringere amicizia con don Lorenzo Milani con cui collaborò attivamente.
Arfè si divise anche a Firenze fra il lavoro all’Archivio di Stato e la militanza politica. Fu, innanzitutto, il suo rapporto con Salvemini che gli consentì di perseguire il progetto di raccogliere in un volume tutti i suoi scritti del suddetto sulla questione meridionale. Cosicché l’anziano meridionalista si convinse di fare collaborare Arfè a questo compito. Dalla collaborazione tra Salvemini e Arfè nacque la pubblicazione dell’antologia salveminiana Scritti sulla questione meridionale (1896-1955), anche se il suo nome non comparve poichè Salvemini temeva che “giovane com’ero, mi sarei tirato precocemente addosso l’avversione di tre quarti del mondo accademico, della setta crociana e dell’intero partito comunista”.
Fra il 1953 e il 1957 fu protagonista della politica socialista fiorentina e fu uno stimato militante di diverse sezioni e alcuni suoi articoli comparvero sull’organo della federazione socialista fiorentina La Difesa.
Arfè collaborò altresì alla rivista Movimento operaio, promossa e diretta da Gianni Bosio. La rivista, nata nel 1949, rappresentò in modo nuovo la storia del movimento operaio. Nel 1952 per il sessantesimo anniversario del partito Bosio riuscì a superare le scarse iniziative e per lo più agiografiche celebrazioni, valorizzando dal punto di vista socialista le origini e le lotte del movimento operaio italiano riprendendo il filo di una storia che il regime fascista tentò di cancellare, uccidendo i dirigenti e distruggendo le carte, i documenti e gli archivi.
Allora la rivista recuperò, per quanto possibile, le fonti per la storia del movimento operaio e Arfè fu un poderoso e insostituibile protagonista di questa ricerca accanto a giovani storici socialisti, comunisti e azionisti quali Alessandro Galante Garrone, Leo Valiani, Franco Venturi, un anarchico come Pier Carlo Masini.
Nel 1953 Bosio, la cui rivista era pubblicata da Feltrinelli, si trovò a dover fronteggiare un attacco del PCI che si concluse col suo allontanamento dalla direzione. Arfè fu attore e anche custode della memoria di quella intricata vicenda, in cui Bosio fu vittima di un «episodio di stalinismo». Venne comunque alla luce che la vicenda fu più articolata poiché vi fu un interesse bipartisan a sacrificare Bosio in favore della politica unitaria social-comunista.
Tra il 1950 e il 1955, Arfè fu coinvolto in iniziative culturali ed editoriali e il suo nome comparve tra gli studiosi che collaborano con la neonata Fondazione Gramsci e anche per le celebrazioni del cinquantenario della morte di Antonio Labriola. Nel 1955 ricevette l’offerta dalla casa editrice Einaudi e fu chiamato a collaborare prima con un progetto di una storia del movimento operaio, poi come coordinatore del piano delle opere di Giacomo Matteotti.
Dopo la morte di Stalin e l’inizio di un periodo di distensione internazionale, Pietro Nenni non perse l’occasione di affrancare il partito socialista dal PCI e portarlo verso l’autonomismo. Arfè riprese l’attività politica e si fece carico di accompagnare la svolta autonomista portata avanti da Nenni e operò una rivalutazione della componente riformista del partito facendola uscire dalla damnatio memoriae in cui era caduta dopo l’avvento del fascismo.
Nenni incaricò Raniero Panzieri di trovare la figura di un compagno, disposto a curare una storia dell’Avanti! e la scelta cadde su Arfè. Il testo ebbe una diffusione e un successo di pubblico notevole essendo leggibile, semplice per i militanti e sostenuto da un solido impianto storiografico.
Al XXXII congresso del PSI svoltosi a Venezia nel febbraio 1957, Arfè fu eletto al Comitato Centrale del Psi su indicazione dei socialisti fiorentini. Continuò la sua copiosa attività di pubblicista trasferendosi a Roma e ottenne nel 1960 un comando presso l’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea. Nel frattempo, dal 1959 assunse, insieme ad Antonio Giolitti, la direzione all’unisono del periodico mensile Mondo Operaio, che mantenne fino al 1971.
Nel 1964 ottenne la libera docenza in storia contemporanea e iniziò l’attività d’insegnamento universitario prima a Bari e poi a Salerno. Poi nel 1973 si trasferì alla facoltà di scienze politiche Cesare Alfieri di Firenze e fu chiamato da Giovanni Spadolini a ricoprire come titolare l’insegnamento di storia del Risorgimento.
Nel periodo 1966-69 Riccardo Lombardi volle che dirigesse con Flavio Orlandi l’Avanti! ,di cui mantenne la direzione da solo dopo la fine della riunificazione con i socialdemocratici fino al 1976.
Nel 1972 fu eletto nel collegio di Parma al Senato e fece parte della commissione Istruzione pubblica, di cui fu vicepresidente e, poi, della commissione Affari esteri. Fu inoltre nominato relatore del decreto legge 1° ottobre 1973, n. 580, sulle ‘misure urgenti per l’Università’, presentato dal ministro della Pubblica Istruzione Franco Maria Malfatti e convertito, con modifiche, con legge 30 novembre 1973, n. 766.
Arfè si contraddistinse nella direzione dell’Avanti! per una dura contrapposizione alle violenze neofasciste e nella notte del 2 aprile 1975 la sua abitazione a Roma fu distrutta da un ordigno esplosivo. Nelle elezioni politiche del giugno 1976 Arfè fu eletto deputato nella circoscrizione Parma-Modena-Reggio-Piacenza ed entrò a far parte della commissione Affari costituzionali e in seguito della commissione Istruzione pubblica. Nel 1976, tornata d’attualità l’ipotesi di una riforma del Concordato, Arfè fu incaricato dal neoeletto segretario del PSI, Bettino Craxi, di preparare una bozza di documento da sottoporre alla direzione del partito. Alla fine del 1976 espose alla Camera dei deputati le ragioni del PSI a favore della revisione dei Patti Lateranensi.
Nel 1979 fu eletto al Parlamento europeo per il collegio Nord-Est. A Strasburgo sedette nella commissione per la Gioventù, la Cultura, l’Istruzione, l’Informazione e lo Sport, facendosi promotore della tutela delle lingue minoritarie con un impegno che portò, il 16 ottobre 1981, all’approvazione della Carta dei diritti delle minoranze etniche e linguistiche. Si distaccò dalle posizioni del segretario Craxi fino a rendere pubblico nel 1987 il suo dissenso con un saggio dal titolo “ Riqualificare la sinistra”che era contenuto nel libro “La questione socialista. Per una possibile reinvenzione della sinistra” . Libro scritto insieme a Vittorio Foa e Antonio Giolitti. Fu eletto come indipendente di Sinistra nelle liste del PCI al Senato nel collegio di Rimini.
Negli anni novanta occupò la cattedra di storia dei partiti e dei movimenti politici presso la facoltà di scienze politiche dell’Università di Napoli.
Durante gli anni di tangentopoli si ritirò dalla vita pubblica e diede un giudizio duro sul sistema politico senza partiti e che, a suo avviso, perse il riferimento etico e morale affondando nel clientelismo e nella corruzione. Fece interventi molto critici sul tentativo di delegittimare la Resistenza e sul revisionismo storiografico. Morì a Napoli nel settembre del 2007.
Foto di apertura: Torino1969, manifestazione degli operai della Mirafiori