Se nasci tondo non muori quadrato, recita il detto. Ma ai tempi non si conosceva Luigi Di Maio.
Il ministro degli Esteri, trasformista per eccellenza, ha scelto di abbandonare la barca che ha contribuito ad affondare con le sue stesse mani e, così, quando il gioco si fa duro, Di Maio lo si vede scappare con la coda tra le gambe.
“Quella di oggi è una scelta sofferta che mai avrei immaginato di dover fare. Oggi io e tanti colleghi lasciamo il Movimento 5 stelle. Grazie al Movimento cinque stelle per quello che mi ha dato, ma credo anche di avere ricambiato. Da domani non sarà più prima forza in Parlamento”, dice il ministro degli Esteri.
Tuttavia, se dalle parole sembra affranto, la mimica dell’ex vicepremier dice il contrario e il sorrisetto comune di chi l’ha fatta in barba non riesce proprio a nascondere la sua vera indole opportunista.
Ma Di Maio dice che “da oggi inizia un nuovo percorso e per fare progredire l’Italia da Nord a Sud abbiamo bisogno di aggregare i migliori talenti e le migliori capacità, perché uno non vale l’altro”, annuncia dall’alto del piedistallo.
Nulla togliere al suo passato onorevole di cameriere e venditore di bibite allo stadio ma Luigi Di Maio, che oggi in maniera autoreferenziale si proclama eccellenza, pare abbia accantonato il celebre “uno vale uno”. Della serie “io son io e voi non siete un ca…”.
Di Maio annuncia una nuova “forza politica che non sarà personale”, dove “non ci sarà spazio per odio, sovranismi e populismi”.
Il nuovo gruppo di Di Maio accoglie una quarantina di deputati e una dozzina di senatori; 50 le firme che potrebbero addirittura arrivare a 60.
“Per fare progredire l’Italia da Nord a Sud verso le sfide globali abbiamo bisogno di aggregare i migliori talenti e le migliori capacità, perché uno non vale l’altro. Le esperienze, le capacità personali, devono rappresentare un valore aggiunto per le forze politiche”, sottolinea Di Maio.
“Mi sono interrogato a lungo sul percorso che il M5S ha deciso di intraprendere: un percorso di chiusura, che guarda al passato, che ripete gli errori del passato. Non siamo riusciti a cambiare, a invertire quella rotta che avrebbe dovuto consentirci di raggiungere la maturità. Siamo ancorati a vecchi modelli. Era necessario aprirsi al confronto, ascoltare delle critiche, ma non è stato possibile”, dice il ministro.
“Quando ho iniziato questa esperienza di governo non conoscevo personalmente il presidente Mario Draghi. In un anno e mezzo abbiamo lavorato bene insieme e per questo sono stato definito draghiano. Faccio parte del Governo Draghi e credo che la sua azione sia motivo d’orgoglio per l’Italia in tutto il mondo e continueremo a sostenerlo con lealtà, idee e il massimo impegno che possiamo metterci”.
Ma se oggi il ministro degli Esteri si dice draghiano convinto 3 anni fa, a suo dire, Draghi era il male assoluto. “Secondo me siamo in un momento in cui bisogna tifare Italia e mi meraviglio che un italiano si metta in questo modo ad avvelenare il clima ulteriormente”, diceva Di Maio dell’attuale premier.
Poi, ancora: “E’ singolare che in questo momento vedo da alcuni ministri di altri Paesi, come quelli tedeschi, molto più rispetto per quello che stiamo facendo che dal capo della Bce che viene a dire che il clima di tensione in Italia è un problema. Sostenere le banche non significa prendere soldi dagli italiani”, affermava ai tempi Di Maio.
Il trasformismo di Di Maio non è una novità in politica, infatti, se il ministro si fosse contraddetto su qualche punto non sarebbe né il primo e né l’ultimo a dire tutto il contrario di tutto in politica; è ormai prassi visti i ciarlatani che entrano in quei palazzi.
Ma l’attuale ministro degli Esteri non ha rivisto solo qualche punto della sua politica, il suo reset di personalità la dicono lunga sul Di Maio uomo. Un uomo da niente.
La rottura dell’ex vicepremier con i cinquestelle avviene non a caso dopo la sconfitta elettorale e, così, quando la barca del movimento sta per affondare, grazie anche al notevole contributo di ambiguità dello stesso ministro che in appena 7 mesi era riuscito a dimezzare come capo politico i voti della vittoria elettorale del 2018, Di Maio abbandona la nave pugnalando alle spalle i suoi ex compagni.
E se il posto di Di Maio all’inferno sarebbe vicino a Giuda, Cassio e Bruto, Conte dal canto suo, suonato come un tamburo, non può stare nello stesso governo dei cosiddetti traditori. Ecco perché ben presto ci sarà una rottura o i cinquestelle arrivano al capolinea.