Che la coalizione che ha vinto le elezioni tre mesi or sono contenesse in sé molte contraddizioni era chiaro sin dalla condotta della Campagna Elettorale.
Quella più vistosa riguardava e riguarda la condotta e l’attitudine in politica estera, il giudizio sul conflitto e la spinta giustificazionistica dell’aggressione russa verso l’Ucraina, differenze che verranno marcate anche nel prossimo richiamo del sostegno armato che verrà richiesto in Parlamento.
La debolezza dei due alleati di Giorgia Meloni naturalmente non è una garanzia di stabilità per l’esecutivo, ma dopo un periodo così breve affermare che ci troviamo in uno stato di precarietà politica é puro velleitarismo.
Ed in quelle contraddizioni pensano di inserirsi in posizioni contrapposte gli altri “poli” della politica italiana che trovano spazio e agibilità grazie all’anchilosi obbligata del Centrosinistra uscito sconfitto dalle urne.
D’altronde il processo di ristrutturazione del PD che cerca con il cambio di guida la risposta alla crisi post-elettorale, la sostanziale irrilevanza dei suoi alleati ( la paradossale situazione degli unici “vincitori “ nell’opposizione e cioè la coalizione Rosso-Verde é alle prese da un mese con uno scandalo reso sensazionale ad arte, assieme l’inesistenza del resto delle forze politiche alleate) lascia spazio all’ineffabile Conte sul fianco populista a sinistra, ed al partito di Calenda che si offre a far da stampella al Governo in forme e metodologie più che irrituali.
Perché se è vero che la profferta di sostegno esterno insidia gli alleati della Meloni é altrettanto chiaro che é tutto interesse del Governo ritardare e scongiurare qualsiasi capacità di ripresa dell’opposizione.
Ripresa che non appare alle viste alle prossime regionali fatta salvo la possibile competitività del Centrosinistra nel Lazio dove c’è una proposta di Governo fondata innanzitutto sulla conferma della precedente esperienza in particolare riferita sulla gestione, indiscutibilmente virtuosa, della difficile azione di contrasto alla pandemia.
Quello che avrebbe dovuto essere patrimonio comune anche in Lombardia, dove tuttavia la rottura della Moratti avviene su un terreno tutto interno al centrodestra e non riesce a configurarsi come un reale e consistente alternativa di “sistema” politico alla nuova e vecchia destra.
D’altronde la crisi è di sistema, lo è perché non si è risolto il problema di devoluzione di poteri dalla sovranità nazionale all’Europa, lo è perché la riduzione del ruolo del Parlamento non ha prodotto un neo-presidenzialismo, lo è perché il sistema elettorale ibrido non ha restituito i vantaggi del proporzionale né quello del maggioritario.
In questa politica allo sbando Meloni appare una normalizzatrice, non riesce ad imporsi come un’eroina della Nazione, termine a lei caro, ma é la fotografia di un paese in difficoltà esposto a tutti i venti.