Home In evidenza Tassare i patrimoni dei super ricchi diventerà una necessità ineludibile

Tassare i patrimoni dei super ricchi diventerà una necessità ineludibile

by Rosario Sorace

E’ un dibattito che coinvolge tutti gli economisti del mondo e che è divenuto sempre più pressante a seguito della grave crisi fiscale che grava su tutte le nazioni. Per quanto riguarda l’Italia costituisce un tabù: si tratterebbe della necessità di imporre una sorta di tassa patrimoniale con un moderato contributo ai tremila super ricchi italiani che secondo calcoli recenti porterebbe alle casse dello Stato circa 10 miliardi per aiutare la classe media.

E’ un modello perseguito in Usa e si tratterebbe di adattarlo nel nostro Paese. Ci sono studi che spiegano con chiarezza come dovrebbero essere utilizzati i fondi raccolti con un prelievo sulle grandissime ricchezze. Si tratta di applicare un principio della redistribuzione della ricchezza e che non deve essere inteso come una misura punitiva o frutto di invidia sociale. Si sa bene come il fisco in questi anni abbia oggettivamente avvantaggiato i più ricchi e sfavorito quelli che hanno di meno.

Le richieste di intervento in tal senso ormai giungono anche dal Fondo monetario internazionale che spinge per provvedimenti di questo tipo e questa ipotesi non viene più esclusa poiché viene reputata praticabile e di semplice attuazione.

Il divario tra le classi sociali ormai è un grave problema non solo in Italia ma in tutta Europa. Poi è provato che la pandemia ha ancora più accentuato questa discrepanza tra ricchi e poveri a favore dei primi.

Si calcola, infatti, che nel nostro paese il 53% dei redditi non deriva dal lavoro ma da profitti realizzati tramite varie modalità di investimenti. C’è da dire che la pressione fiscale è alta e intollerabile sui ceti medi e questo fatto determina una situazione di conflitti sociali oltre che indebolire la crescita economica.

Anche l’Ocse rileva il bisogno di interventi redistribuitivi a favore della classe media. Nel sistema statunitense, per esempio, si ipotizza un’imposta del 2% sui patrimoni che superano i 50 milioni di dollari e del 3% per le ricchezze al di sopra del miliardo di dollari.

Il gettito che ne deriverebbe viene stimato intorno a 100 miliardi di dollari l’anno. Ormai molti parlamentari del Partito democratico hanno inserito la proposta nel programma elettorale che porteranno avanti nel parlamento americano e, quindi, diviene attuale l’amplificazione di questa idea a livello internazionale.

In Italia nessun organismo indipendente ha calcolato con una certa dose di esattezza che proiezione di entrate potrebbe esserci se si dovesse applicare una tassazione più incisiva solo sulla fascia di patrimoni individuali dai 50 milioni in su. Però alcuni dati sono ricavabili: nel nostro Paese ci sono una quarantina di individui con un patrimonio che supera il miliardo di euro e, quindi, con un ricchezza complessiva di circa 140 miliardi di euro.

Quindi sulla base di un prelievo del 3% frutterebbe 4,2 miliardi di euro l’anno. Mentre secondo altri studi si indicano in 2.774 il numero di italiani con una ricchezza che supera i 50 milioni di euro. Si ipotizza che tutti questi soggetti abbiano una ricchezza complessiva di 138 miliardi di euro.

Il prelievo del 2% consentirebbe un gettito di circa 3 miliardi. Una valutazione più realistica invece ipotizza un valore medio della ricchezza di questi 2.774 cittadini di 100 milioni, che, quindi, porterebbe gli eventuali introiti a circa 6 miliardi. Insomma da una patrimoniale potrebbero arrivare all’Italia circa 10 miliardi di euro l’anno.

La finalità di questo gettito di entrate potrebbero essere utilizzati in favore delle classi medie quali incentivi per chi acquista la casa e a risparmiare sulla pensione, oppure si potrebbero erogare somme in favore di giovani o adulti per avviarsi agli studi o iniziare un’attività.

Un reddito che favorisca la creazione di ricchezza per le classi lavoratrici e per ridurre le diseguaglianze oggi sembra una spinta alla crescita economica. Tuttavia oggi si parla anche della necessità che le tassazioni di questo tipo siano imposte a livello transnazionale, magari per l’intera Unione europea.

Bisogna anche dire che le imposte sul patrimonio sono state congegnate in modo da permettere un’ampio spettro di evasione e di elusione spostandosi all’estero o nascondendo i beni nei paradisi fiscali. Nell’esperienza statunitense la tassa patrimoniale potrebbe essere concepita in modo da rimanere in vigore per un certo numero di anni dopo il trasferimento all’estero.

Infatti in America le tasse seguono i cittadini statunitensi ovunque si spostino e persino la rinuncia alla cittadinanza viene accompagnata da una grande tassa di uscita. Poi i vari paradisi fiscali sono obbligati a segnalare i conti degli stranieri alle autorità fiscali dei proprietari dei conti.

Oggi vi sono oltre 100 i paesi che stanno adottando questo scambio automatico di informazioni, cosicché diviene più agevole l’efficacia attuativa di un’imposta patrimoniale che è possibile anche a livello di singolo stato. Naturalmente al fine che queste imposte risultino efficaci occorre un’amministrazione fiscale estremamente efficiente che sia in grado di scovare le ricchezze nei meandri degli assetti societari.

Sono anche infondati i timori per cui una più alta tassazione su questi soggetti opulenti possa costituire un vulnus con effetti negativi per la crescita economica. Sempre secondo diversi studi l’aliquota media ottimale, ai fini della crescita, sui redditi dei contribuenti più ricchi sarebbe del 60%.

Oggi poi siamo in una fase in cui in cui la quota di ricchezza che finisce al capitale è assai prevalente in termini quantitativi su quella accertata dai redditi da lavoro. Consideriamo il fatto che dopo Grecia e Gran Bretagna, l’Italia è il paese europeo con la più forte diseguaglianza e con un fisco sempre meno equo.

D’altronde la pandemia ha ulteriormente favorito i super ricchi che detengono i patrimoni finanziari che sono quote di fondi comuni, azioni, obbligazioni. In Italia vi una percentuale del 10% più ricco della popolazione che possiede ad esempio il 52% dell’intero spettro di asset finanziari.

Bisogna anche considerare che le politiche monetarie assai espansive che le banche centrali esercitano e che sono state rafforzate nei mesi della pandemia spingono ancora di più al rialzo il valore di questi asset. Questo è il motivo per cui in tutto il mondo, dagli Stati Uniti, all’Europa, alla Cina, i miliardari hanno accresciuto la loro ricchezza anche nel pieno dell’emergenza sanitaria.

Adesso il Fondo monetario internazionale che denuncia questa distorsione del sistema si è apertamente schierato a sostegno di un maggiore tassazione sulla ricchezza. Infatti lo scorso gennaio la direttrice Kristalina Georgieva ha affermato: “Disuguaglianza di opportunità. Disuguaglianza tra generazioni. Disuguaglianza tra donne e uomini. E, naturalmente, disuguaglianza di reddito e ricchezza. Sono tutti presenti nelle nostre società e – purtroppo – in molti Paesi stanno crescendo. La tassazione progressiva è una componente chiave di una politica fiscale efficace. In cima alla distribuzione del reddito, la nostra ricerca mostra che le aliquote fiscali marginali possono essere aumentate senza sacrificare la crescita economica”.

Adesso uno Stato Europeo con l’ultima legge di bilancio la Spagna, guidata da un socialista, ha cominciato un percorso in questa direzione, aumentando del 3% il prelievo sui redditi da capitale. I ricchi tra l’altro consumano in percentuale ai loro patrimoni e aumentano sempre più il risparmio. In tal modo non si favorisce neanche la crescita dell’economia e della domanda interna.

I soldi così finiscono per alimentare bolle nel valore di immobili e prodotti finanziari contribuendo a creare disequilibri nei conti con l’estero. Non possiamo, quindi, continuare a fare ricorso al debito pubblico ma si deve al più presto concepire una riforma fiscale nuova e moderna non escludendo a priori la tassazione sulle grandi ricchezze.

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