Mettiamo che fossi un fervente no-clothing, un naturista praticante che ama e crede nel nudismo. Quindi esco di casa rivendicando la mia libertà costituzionale di essere me stesso, di nutrire le mie convinzioni, e di circolare senza vestiti (il buon costume è mica citato come limite), e senza vestiti salire sull’autobus. Quanto durerebbe la mia passeggiata prima di essere arrestato? Chissà se Giorgia Meloni accorrerebbe in mia difesa, lei che, contro Macron (che di certo ne sarà rimasto profondamente turbato) e in significativa compagnia di Marine Le Pen, twitta: “L’idea di utilizzare il green pass per poter partecipare alla vita sociale è raggelante, è l’ultimo passo verso la realizzazione di una società orwelliana. Una follia anticostituzionale che Fratelli d’Italia respinge con forza. Per noi la libertà individuale è sacra e inviolabile”.
E’ sorprendente che ad ergersi a baluardo delle libertà costituzionali sia la leader del partito erede del MSI, che fu fondato da Giorgio Almirante, collaborazionista (con i nazisti) e fascista “di razza” (in senso proprio, essendo stato segretario di redazione della rivista La difesa della razza). Infatti è sorpresa anche lei di questo suo nuovo ruolo: tant’è che qualche mese fa, protestando contro il Governo Conte per aver svilito il ruolo del Parlamento nella gestione della pandemia, le venne da dire «pensate come state messi se vi devo dare io lezioni di democrazia». Ma siccome Meloni è un’abile politica, sa bene che “essere contro” dà all’unica forza politica “contro” la maggioranza un’ottima rendita elettorale. Quindi bisogna capirla.
Più difficile capire altri maître à penser che sparano contro l’introduzione del green pass. “Chi ci propone un “green pass” per poter riottenere diritti che – dalla libertà di spostamento a quella di accesso ai luoghi pubblici – ci sono garantiti dalla Costituzione è un malfattore” (Diego Fusaro). Sono un malfattore, lo ammetto. Il nostro costituente non è stato così improvvido da declinare i nostri diritti individuali senza accompagnarli dalla previsione di limiti posti a salvaguardia dell’interesse generale: come “le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza” che l’art. 16 Cost. contrappone alla nostra libertà di circolazione; o la legge che può consentire che venga imposto l’obbligo di “un determinato trattamento sanitario”, quale la vaccinazione (art. 32.2 Cost.). Sono cose note a tutti, o almeno dovrebbero esserlo. Allora dov’è il problema?
Il problema non è tanto che il vaccino non sia abbastanza testato scientificamente (però per il momento sta funzionando, se i dati statistici non mentono sulla “copertura” che esso dà, cioè sull’effetto d’immunizzazione); né che anche i vaccinati possono essere portatori di contagio (cosa verissima e spiega perché anche gli immuni devono continuare a indossare la mascherina laddove prescritto). Ho sentito con le mie orecchie una signora rispondere in buon italiano (una professoressa?) alla maschera che controllava l’ingresso ad un evento culturale all’aperto e che le chiedeva di indossare la mascherina: “perché? tanto io sono vaccinata”. Una proiezione forse inconsapevole dell’egoismo dei diritti, che fa dimenticare che certi obblighi ci sono imposti non per proteggere noi stessi, ma gli altri (l’interesse generale, appunto).
La questione sta proprio qui: se il green pass non protegge noi stessi, che siamo già immuni, e non protegge gli altri, visto che anche l’immune può essere portatore di virus, a che serve? La risposta è semplice. Serve a evitare che, i luoghi affollati per accedere ai quali il pass è richiesto, diventino un cluster in cui l’infezione si diffonde rapidamente, colpendo chi immune non è. Chi non è immune non dovrebbe poter accalcarsi con gli altri.
Poi ci sono quelli che vedono nel green pass solo un modo per costringere i renitenti a vaccinarsi. Tra questi il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, che infatti ha dichiarato: “In questo momento non ce n’è bisogno, la campagna vaccinale sta andando molto bene. I numeri sono buoni e non siamo assolutamente nelle condizioni di proporre delle misure restrittive, anzi. In questo momento, oltre a non essere possibile in Italia per privacy, in Lombardia non ce ne è bisogno anche perché le adesioni alla nostra campagna sono sopra la media nazionale”. Come sempre Fontana brilla per consapevolezza, e accetta la stessa prospettiva dei no wax: il green pass è una forma per forzare la volontà della gente e costringerla a vaccinarsi. Ma poi c’è anche il brillante accenno alla privacy, che dimostra ancora di più come il presidente della più grande regione italiana – che è anche quella che ha dimostrato molte deficienze organizzative e operative nell’affrontare la pandemia – non riesca a cogliere il senso della misura annunciata da Macron: evitare che si generino situazioni in cui persone non immunizzate possano venire infettate da questa o quella variante del virus.
Cosa c’entri la privacy e poi davvero difficile da capire: dire “sono immunizzato” offende in qualche modo la mia privacy? Il garante è già intervenuto sul tema, ma solo per avvertire che mettere sui social il Qr-Code del green pass appena ottenuto è pericoloso, perché così si rendono pubbliche informazioni su dati sensibili (tra cui anche il livello discutibile della propria intelligenza).
E poi ci sono i medici che non vogliono vaccinarsi, ma pretendono di mantenere intatte le loro funzioni a contatto con i pazienti. Non entro nei meandri di ricorsi strabilianti, di argomentazioni difficili da digerire per chi ha qualche decennio di pratica giuridica. Pongo solo una domanda: ma io, umile paziente, ho il diritto di sapere se il camice bianco che mi visita e si accinge a prescrivermi trattamenti ed esami abbia qualche titolo professionale, o sono dati “sensibili” protetti dalla privacy. E devo anche ignorare se chi sta trattando i miei sintomi crede o no nel virus, nella sua pericolosità, nell’efficacia dei vaccini, nella preferibilità di un certo vaccino come strumento d’immunizzazione del mio povero essere di paziente, posto ignaro nelle sue mani? Dottore, lei crede nella scienza medica? è una domanda che offende la sua privacy? Non si rendono conto delle loro responsabilità? Il mondo intero – quello ricco, che se lo può permettere – ha investito in ricerca e nei risultati che ne sono derivati, i vaccini: tutti i paesi (salvo forse Bolsonaro) hanno organizzato procedure e servizi per ottenere il risultato che tutti auspicavano, ridurre il contagio e salvare la gente. I dati scientifici sull’efficacia dei vaccini non sono certi? Va bene, ma l’alternativa qual è, ritornare alle migliaia di morti ogni giorno? Se i morti si sono ridotti di chi è il merito? E se la prospettiva su cui tutti hanno puntato è l’immunità di massa da raggiungere il prima possibile, prima che il virus muti e si renda a sua volta immune, che diritto hanno loro di ingenerare dubbi nella comunità sulla base della loro informazione scientifica, non maggioritaria e non certificata? Se non credono nella scienza medica forse dovrebbero sospendersi da soli dalle loro funzioni. Il prete che non crede più in dio, non sarebbe meglio che aprisse una birreria?