Salvo Andò: “Draghi, futuro leader europeo”

Mario Draghi comincia a prendere quota nella considerazione dei cittadini e non è certamente un Premier dimezzato anzi sta dimostrando di sapersi indirizzare verso gli obiettivi di governo con le movenze di un politico assai navigato e senza lasciarsi per niente condizionare dal solito teatrino delle dichiarazioni giornaliere dei partiti che sono in maggioranza e che non perdono tempo a fronteggiarsi l’uno contro l’altro.

D’altra parte ci sono i partiti che sembrano gusci vuoti usati per alimentare la propaganda elettorale e che non sono capaci di mantenere alto il profilo costituzionale e la capacità di rappresentanza a cui sono preposti in una moderna democrazia.Ecco il punto di vista di Salvo Andò su queste tematiche di pregnante attualità politica.

Non si poteva certo chiedere al governo di unità nazionale di fare acquisire a partiti abituati a gestire le proteste una solida cultura di governo. Di ciò era consapevole lo stesso presidente Mattarella che ha voluto l’attuale governo perché convinto che solo un esecutivo di alto profilo potesse consentire al Paese di risollevarsi dalla crisi economica e sanitaria in tempi più rapidi. E tuttavia, anche in questa compagine c’è chi briga per ascriversi i successi dell’azione di governo, scaricando sugli alleati ritardi ed incertezze del tutto comprensibili quando si è costretti a procedere per approssimazione, passo dopo passo.

Soprattutto Salvini pare avere ripreso la sua attività propagandistica che rischia di vanificare gli sforzi del premier per tenere coesa la maggioranza senza cedere alle rivendicazioni di bandiera dei partiti.

Era prevedibile che, nonostante l’accettazione senza riserve del programma di Draghi, si sarebbe avuta una competizione senza esclusione di colpi tra i partiti, tutti alla ricerca di visibilità.

Come si è districato Draghi in questa prima esperienza di governo?

Finora Draghi e i ministri tecnici sono riusciti ad arginare tanta invadenza senza procedere a costanti verifiche sui dossier più scottanti. I partiti della coalizione avevano accettato una tregua, che nell’immediato poteva comportare dei costi sul piano dei consensi elettorali. Un rischio che la Meloni non ha voluto correre ritenendo più vantaggioso il monopolio dell’opposizione.

I partiti che si sono assunti la responsabilità del governo sapevano che non erano chiamati solo a risolvere le tante emergenze prodotte dalla pandemia, ma a condividere un percorso obbligato per “rifare l’Italia” nel contesto di un forte rilancio del processo di integrazione europea. Insomma, accettavano di condividere scelte dalla forte valenza politica, convinti che l’autorevolezza e la competenza del premier sarebbero risultate decisive per promuovere una crescita destinata ad incidere sullo stesso rapporto tra i partiti e i loro popoli di riferimento. Si trattava di tutelare l’interesse generale deludendo magari le aspettative delle rispettive tifoserie.

Adesso, questo disegno pare registrare una battuta d’arresto. L’eterno presentismo, cioè l’attitudine a occuparsi solo di ciò che consente di incassare immediati dividendi elettorali, torna ad essere la bussola che guida i comportamenti dei partiti della coalizione.

C’è la possibilità che il Paese vada alle urne anticipatamente?

Pare soprattutto che si vada ricomponendo il fronte delle elezioni anticipate il cui leader indiscusso resta Salvini. In questo contesto liquidare il governo Draghi, magari riconoscendo nel premier il successore ideale di Mattarella, potrebbe portare a elezioni anticipate nel 2022. Ciò consentirebbe ai partiti della protesta di non perdere del tutto la spinta propulsiva che in questi anni ne ha garantito il successo.

Ma c’è un’altra ragione che rende sempre più nervoso il leader leghista e alcuni suoi sodali. Una legislatura che dovesse durare fino al suo termine naturale potrebbe fare registrare un’ulteriore flessione elettorale della Lega. FdI potrebbe diventare il primo partito del centrodestra e, quindi, rivendicare la premiership per la Meloni.

Inoltre, emerge in alcuni settori politici la preoccupazione che questo governo possa via via acquisire un sempre più largo consenso sociale. La gente potrebbe individuare in un premier come Draghi un leader senza partito ma dalla sicura cultura liberaldemocratica, il garante della stabilità politica, in grado di portare a termine un processo riformatore che riconcili il Paese con la politica.

L’interruzione di questa esperienza di governo potrebbe essere vissuta dal Paese come un ritorno al passato, ai politici scelti a casaccio dai “partiti del popolo” che tanti guasti hanno prodotto. Si tratta di un passato che sicuramente gli italiani non rimpiangono. Pare che la gente oggi guardi con favore all’avvio di un nuovo ciclo politico ed istituzionale, che renderebbe più vivibile il Paese, non solo per i cittadini italiani di oggi, ma soprattutto per quelli di domani.

Era ben consapevole Mattarella che nonostante l’accettazione senza riserve del programma di Draghi si sarebbe avuta una competizione senza esclusione di colpi tra i partiti per guadagnare visibilità. Ma era ben consapevole anche che Draghi ed i ministri tecnici sapessero arginare tanta invadenza senza che fosse necessario procedere a delle costanti verifiche sui dossier più scottanti.

Partecipare ad un governo di unità nazionale significava accettare una tregua, che nell’immediato poteva comportare dei costi sul piano dei consensi elettorali. Solo la Meloni si è tirata fuori dalla maggioranza larga ritenendo vantaggiosa un’ opposizione solitaria.

I partiti che hanno inteso assumere la responsabilità del governo dovevano non soltanto risolvere i problemi immediati posti dalla pandemia, ma condividere un percorso obbligato per ”rifare l’Italia” nel contesto di un forte rilancio del processo di integrazione europea. Insomma dovevano condividere responsabilità dalla forte valenza politica. 

Le differenze politiche e culturali permanevano ovviamente, ma si individuava nella guida di Draghi una garanzia per fare tutto ciò che serve all’Italia, in primo luogo per avviare una politica della crescita destinata ad incidere sullo stesso rapporto tra i partiti ed i loro popoli di riferimento, che non possono essere le attuali tifoserie indifferenti all’interesse generale e prigioniere dei peggiori egoismi corporativi.

In sostanza i partiti avrebbero dovuto tutelare l ‘interesse generale più che quello delle loro tifoserie. Tutti i partiti hanno dichiarato di condividere questa linea del premier, sia pure con motivazioni diverse.

Lo stato di salute dei partiti italiani non sembra ottimale e non riescono a svolgere le funzioni per cui sono nati.

I partiti italiani sembrano in preda ad uno stato confusionale che ne rende imprevedibili le mosse ,nonostante quasi tutti dichiarino solennemente di volere sostenere questo governo, di essere contrari a elezioni anticipate, di avere piena fiducia nel premier alle cui decisioni si rimettono.

I partiti, ormai da tempo, hanno perduto le caratteristiche di comunità politiche organizzate in modo trasparente e nel rispetto del principio democratico. Via via sono divenuti organizzazioni imperniate su un ferreo leaderismo, che fanno propaganda politica soprattutto veicolando i messaggi del leader.

Per convincersi di ciò, basti pensare alla vicenda della ristrutturazione del centro destra, che sarebbe, stando ai sondaggi, l’unica compagine che riesce a varcare la soglia del 50 % dei consensi. Ebbene, uno schieramento cosi importante sta ragionando del proprio futuro solo attraverso gli scambi di battute tra i leader. Nel giro di pochi giorni si è vista tramontare la proposta di Salvini di creare la federazione con FI per le perplessità manifestate dal Cavaliere di fronte alle resistenze di alcuni suoi fedelissimi.

Ma, subito dopo, lo stesso Berlusconi ha spiegato che è preferibile una maggiore integrazione tra i partiti alleati, addirittura un partito unico di centro-destra. Insomma, parole in libertà di un leader in difficoltà che teme che Salvini gli possa scippare il partito.

Neanche i partiti del centro sinistra brillano e la coalizione sembra ancora in uno stato embrionale.

Ma le cose non vanno meglio nel centro sinistra, se si pensa al modo come attraverso la ”democrazia diretta” dei gazebo si intendono risolvere complesse questioni che riguardano anche la struttura delle alleanze.

Letta, il nuovo segretario del Pd, vorrebbe un partito più di sinistra, ma al tempo stesso è impegnato a costruire un solido asse con i 5S, che non si sa bene cosa siano. Non ci si può sorprendere del caos che regna nel M5S, un partito mai nato ,ormai divenuto un consorzio di fazioni in perenne lotta tra loro. Sorprende, invece, il modo in cui il Pd, un partito tradizionale nella sua strutturazione interna, sta affrontando le elezioni amministrative. C’è troppa improvvisazione.

Il Pd non è un partito personale, né dal forte tratto populista. Pare curioso che prima ancora di decidere con quali alleati correre scelga con le primarie i candidati sindaci, allo scopo di affermare il primato della società civile sul popolo del partito. Il caso delle primarie torinesi, in questo senso, è emblematico.

Oggi nel paese, con il governo di unità nazionale, si è avuta una tregua politica. Sarebbe bene che i partiti che possono ancora contare su un popolo di riferimento utilizzassero la sospensione delle ostilità, per esprimere una forte progettualità con riferimento al futuro del paese.  C’è bisogno di partiti impegnati a riassegnare alla politica il suo necessario primato, affrontando i temi delle grandi riforme non più rinviabili.

Un recupero di immagine dei partiti è ancora più importante della stessa stabilità politica.
Non e´ certo attraverso le primarie, cioè rimpiazzando il popolo del partito con il popolo degli elettori -quasi che il primo sia detentore di tutti i vizi ed il secondo di tutte le virtù- che si può promuovere una discussione pubblica davvero coinvolgente.

E’ stato un errore rottamare strutture di partito collaudate per sostituirle con i gazebo e ischeletrire la tradizionale organizzazione di partito incentrata su congressi, assemblee, circoli ritenendo irrilevante una discussione interna sulla cose da fare e su come farle. Con le primarie si sceglie con chi stare, non che politica fare. E ciò ha contribuito a smantellare le strutture della democrazia deliberativa.

Il declino dei partiti come organizzazioni di comunità politiche ben ordinate ha abbassato la qualità della democrazia . Non e´ pensabile che si possa rifare l’Italia senza rifare i partiti, che sono l’unico strumento di partecipazione in grado di garantire una qualche selezione delle classi dirigenti e di cambiare la politica per dare risposte positive alla crisi della democrazia.

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