Populismo scientifico

Forse dovremmo esultare per aver compiuto un ulteriore passo avanti, probabilmente continuare a lavorare con una radicata speranza, il cui orizzonte sembra essersi allargato, ma in nessun caso dobbiamo mostrare cedimento nei propositi di cambiamento, cui l’Umanità è destinata.

La forza per la sopravvivenza e non il destino, spingerà società, popoli, istituzioni nazionali e sovranazionali a convergere verso quel cambiamento, da cui dipende la nostra esistenza globale.

E’ un aspetto che, prima degli adulti, privi di obiettivi e speranza, ancorché di idee, ha ben presente la maggioranza dei ragazzi che, grazie alla loro educazione e formazione non più lineare e monolitica, hanno compreso.

Le istituzioni dei vari Paesi del Pianeta, oggi sono guidate da rappresentanti di molteplici interessi, che in prevalenza non convergono con le esigenze sociali, ancorché democratiche.

Sono esperti nella gestione di una società organizzata secondo uno schema turbo-capitalista, e in virtù di una loro indiscutibile competenza in merito, affrancano tecnicamente le decisioni da qualsiasi idea sociale.

Queste competenze tecniche, in ogni ambito e a qualsiasi livello, quando sono affette da una carenza sugli effetti determinati dal loro agire e soprattutto dalla consapevolezza divengono, nel lungo termine, mostruosità scientifiche in grado di azzerare l’umanità, in modo asettico e incosciente.

Diversamente il professor Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica 2021, in un intervista al Corriere della Sera, esprime il suo scetticismo sugli accordi ambientali raggiunti al G20 di Roma e su quelli in corso a Glasgow, sul clima.

Parisi esprime linearmente il suo dubbio, sulla possibilità di raggiungere quegli obiettivi, visto che non sono indicate e definite in modo chiaro le modalità, degli interventi puntuali per il loro raggiungimento.

Certo non possiamo che gioire ed esultare con il quotidiano la Repubblica, che oggi apre in prima, con un titolo cubitale in merito alla riunione dell’Onu a Glasgow: “Più foreste, meno gas”.

Salvo che quel titolone è un po’ troppo simile a quelli già usati tante volte, “più lavoro e meno povertà”, coincidenti con gli slogan dal marchio populista.

Sono privi di avvenire se, come è sempre avvenuto, non seguono indicazioni e determinazioni puntuali per la realizzazione di quanto si enuncia.

Per noi in Italia, ove il rimboschimento del Paese è una realtà in corso da anni, l’attuazione di quell’obiettivo sembra essere a portata di mano, salvo che, contrariamente, le catastrofi ambientali di cui siamo vittima, costituiscono una devastazione continua sul nostro territorio, puntualmente eroso e minato da una edificazione irragionevole e oggi totalmente inutile.

Nel resto del Pianeta la tendenza contraria invece non sembra esprimere alcun indice di inversione.

I disboscamenti “industriali” in corso, di cui siamo direttamente responsabili e che avvengono nei Paesi poveri, servono per addobbare gli arredamenti urbani di società opulente e discriminanti come la nostra.

Oramai parliamo di fondi di rinascita miliardari, e nei fatti si stanziano migliaia di miliardi di euro o dollari per finanziare il cambiamento.

Ma già dalle battute iniziali, almeno nel nostro Paese, non sembra sia possibile registrare altrettanta linearità nelle azioni di cambiamento e transizione, rispetto ai presupposti dei finanziamenti miliardari.

Finanziamenti che sembrano alimentare il circuito economico esistente, senza mutazioni fondamentali di rilievo, che una volta cessata l’erogazione miliardaria tenderà a fermarsi, non essendosi dotato di una nuova propulsione economica.

Stanziamenti che determinano un indebitamento nei confronti di precise entità, private e istituzionali, verso cui dobbiamo volgere lo sguardo con attenzione, affinché alla lunga non diventino “cambiali” di riscossione, attraverso le quali attentare l’ultimo residuo democratico ancora garantito dalla Costituzione.

Inoltre, vi sono aspetti di politica economica evidenti verso cui abbiamo il dubbio che la maggioranza della classe politica sia in grado di pianificare e vagliare adeguate contromisure democratiche.

E’ necessario definire un disegno consapevole in cui la trasformazione economica e sociale, cui non possiamo rinunciare, eviti di minare la stabilità democratica del Paese e delle istituzioni.

Anche su questo si giocherà l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, che non potrà coincidere con un economista privo di una profonda visione sociale o, ancor peggio, con quella di un politicante, che risulta essere espressione della dominante visione monolitica mondiale.

Forse avremo bisogno di una donna capace di restituire al Paese la dignità, cui onestà e lungimiranza, insieme a saggezza e intelligenza, riescano a prevalere sulla dilagante degenerazione che lo avviluppa.

Ma soprattutto, pur sapendo che non potremo mai mutare il destino di un Paese solo grazie a una icona al vertice, è necessario un impegno civile e politico, di cui ognuno di noi deve essere partecipe, senza alcun distinguo o alibi.

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