Nel paese delle carceri ingiuste e disumane

La logica dei numeri assolve o condanna, impietosa e implacabile. Il nostro paese ha superato la soglia dei sessantamila detenuti e la sentenza Torreggiani, con la quale la Corte per i diritti umani richiamava duramente l’Italia, è ormai un lontano ricordo.

Una sentenza archiviata nell’indifferenza di questa stagione che si preoccupa soltanto di militarizzare il carcere anziché renderlo più umano e meno degradante. Se guardiamo nel profondo, se puntiamo al nocciolo della questione, il problema va oltre però i metri quadrati insufficienti, l’acqua gelata, le strutture fatiscenti: è il martirio, la morte lenta di una certa idea dello Stato, della nostra Costituzione.

L’articolo 27 della carta fondamentale venne scritto da una Assemblea costituente che voleva superare la legge del taglione, lo Stato della vendetta. Si voleva una pena e un carcere, che tra le pene è l’ultima spiaggia (o almeno dovrebbe esserlo), capaci di rieducare, di mettere nelle condizioni il reo di recuperare il rapporto transitivo con la società che lo aveva espunto.

Vale la pena chiedersi come si può rieducare in un paese nel quale si contano decine di morti suicidi e la pena è criminogena: non redime ma rende più delinquenti. Ad Agrigento, nel centro della Sicilia, 50 detenuti si lavano in tre docce, guardati a vista dalla polizia penitenziaria. Possono non imbarbarirsi, degradarsi, abbrutirsi? Ci avevano insegnato che in carcere non entrava il reato ma l’uomo. “Se questo è un uomo…”, se questo è un paese civile.

Ci direbbe Fabrizio De André: “Anche se vi sentiti assolti, siete lo stesso coinvolti”. Occorrerebbe una mobilitazione della società civile, di governo e Parlamento. È vero che i detenuti non portano voti ma la storia, non la cronaca, condanna i ladri di diritto. Questo carcere ruba ogni giorno nelle stanze dello Stato di diritto. Si avverte una lacuna, il senso di un vuoto insostenibile: è la civiltà che muore, le ceneri di Cesare Beccaria. Bisogna far presto, agire: non basta piangere il morto.

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