Il dramma di Taranto: “Mittal chiede un taglio drastico dei lavoratori”

In un’intervista il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, reclama un’alleanza strategica “per impedire che il paese si sbricioli sotto i colpi di un processo di deindustrializzazione” attraverso “una convergenza su obiettivi condivisi con il pieno coinvolgimento di tutti gli azionisti dell’azienda”. Il sindacato sembra svegliarsi dopo decenni di torpore e trova il vuoto politico attorno a sé. Nel pieno di una crisi del sistema produttivo che è tutt’uno con la conseguente debolezza della posizione internazionale dell’Italia. È completamente assente un partito del lavoro, dei lavoratori e degli imprenditori, che solo il sindacato, riprendendo il modello della formazione del laburismo inglese, può riuscire ad aggregare in una alleanza repubblicana e nazionale.

Critica Sociale ha dato voce direttamente – nelle scorse settimane – agli operai dell’Ilva con un’inchiesta condotta da un proprio inviato a Taranto presso gli stabilimenti. Le dichiarazioni degli operai riportate sono coperte da nomi di fantasia come richiesto espressamente dagli intervistati. Nessuna fiducia nella Mittal e in come è impostata la trattativa dal governo.

Un operaio dell’ex ILVA che ha preso parte alla mobilitazione delle aziende in crisi, nella intervista alla Critica afferma che per i lavoratori l’unico riferimento di garanzia, in questa situazione, è il presidente della Repubblica, Mattarella.

Che cosa significa questo?

Fondamentalmente chiudere lo stabilimento.

Accetterete i licenziamenti o, in caso contrario, che risposta darete?

È difficile dare una risposta anche perché c’è tanta confusione. Parliamo di migliaia di persone e di migliaia di famiglie. Ognuno con i suoi problemi. Sta diventando una guerra dei poveri.

Se tu diventassi un esubero quanto guadagneresti?

Un terzo dello stipendio. Cinquecento, seicento euro al mese. Mittal parla di una perdita di 700 milioni di euro su base annua. Quindi, anche se nel 2019 avessimo lavorato gratis per tutto l’anno l’azienda avrebbe continuato a perdere dal momento che il costo della manodopera è intorno ai 600 milioni all’anno.

Che cosa pensare allora?

Questa è l’idea che circolava fin dall’inizio. La Mittal voleva chiudere la fabbrica perché non aveva più bisogno di Taranto. È opinione diffusa che Mittal puntava alla quota di mercato. Mentre inizialmente i quadri dirigenti pensavano che ci fosse l’intenzione di portare la fabbrica alla redditività, i comportamenti dei dirigenti ci hanno fatto capire che l’intenzione era di chiudere.

Alcuni operai accusano la massa di vigliaccheria e mancanza di solidarietà. E’vero?

Ribadisco: questa situazione sta determinando una guerra dei poveri. C’è gente che con 1.200 euro andrebbe via subito ma la stragrande maggioranza si trova nella condizione di non poter accettare.

Da quando c’è la nuova proprietà c’è stato qualche concreto segno di riconversione industriale e di bonifica? Se sì, quali?

L’atteggiamento all’inizio sembrava propositivo, poi ci siamo accorti che era un bluff. I commissari non erano attenti al profitto. Per loro era importante soltanto procrastinare decisioni per prendere tempo. Poi alla fine la revoca dello scudo per la Mittal è stato un alibi. Ciò è confermato dai comportamenti degli ultimi giorni. Le opere che erano costrette a fare sono continuate, per il resto no.

Uno dei temi che ha generato più conflitti è l’apparente contrasto tra salute, ambiente e necessità di occupazione. Qual è la tua visione del problema e quale sarebbe secondo te la proposta di soluzione?

La soluzione è che ci vuole un governo in grado di prendere decisioni. Il lavoratore deve pensare alla sopravvivenza della famiglia. Siamo anche noi corresponsabili del problema. C’è molta discordia fra operai e cittadinanza. All’interno ci sono persone che si rendono conto del problema ma è lo Stato che è assente. In questa situazione è emersa l’incapacità del sistema paese ad affrontare i problemi degli operai.

Molti chiedono la nazionalizzazione, secondo te è una soluzione? E in che prospettiva?

Difficile dirlo. Esistono purtroppo tanti esempi di gestione negativa da parte dello Stato ma ci sono anche delle eccellenze. Comunque la nazionalizzazione non è il male assoluto. Durante la fase commissariale abbiamo visto una gestione non corretta del problema. Sono stati chiamati a gestire lo stabilimento persone che non erano mai entrati in una fabbrica. Gente che aveva 620.000 di stipendio per assumersi responsabilità ma nessuno è stato capace di gestire come si deve alcun problema.

Se la Mittal spegnesse i forni occupereste lo stabilimento per impedirlo?

La chiusura dei forni è un processo lungo. Il problema invece è: abbiamo il materiale per gestire i forni? Paradossalmente è intervenuta solo la Procura di Milano per cercare di salvare il salvabile in questa situazione di emergenza. C’è tanta confusione fra i lavoratori.

Sareste in grado di autogestirlo?​

È uno stabilimento troppo grande. Le dichiarazioni del ministro Patuanelli delle ultime ore forse vanno verso questa soluzione, cioè di una gestione da parte dello Stato. Patuanelli in sostanza ha detto di riaprire il forno 5. Questa è la via più semplice per lo stabilimento. Forse queste dichiarazioni presuppongono che il ministro abbia ascoltato qualche tecnico. Per una volta la politica sembra si stia informando seriamente. Forse per la prima volta i politici hanno avuto le informazioni giuste e cominciano ad ascoltarle. Le perdite dello stabilimento potrebbero essere ripianate mediante un intervento pubblico ma ciò è vietato dal Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea. Per di più la Cassa Depositi e Prestiti (CDP) ha uno Statuto che, in base all’articolo 3, può intervenire solo in società di rilevante interesse nazionale “che risultino in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e siano caratterizzate da adeguate prospettive di redditività”.

Come se ne esce? E come credi che il governo si stia comportando nel gestire il problema.

Ancora una volta queste discussioni dimostrano la fragilità del sistema paese. Non si può pensare che la crisi possa essere risolta solo con soldi pubblici, ci vuole il coraggio di prendere una decisione. Bisogna affrontare il problema secondo il principio che se lo Stato decide di risolverlo, lo deve fare. Altrimenti ci licenzi tutti, non ha senso allontanare oggi duemila operai e il resto fra un anno. Questo significa che lo Stato ha deciso di chiudere lo stabilimento di Taranto,

Parliamo di salute all’acciaieria di Taranto: in cambio di perdite e di rischi chiusura continua a produrre tumori. È normale?

No, assolutamente no! Però Si sta criminalizzando l’Ilva. Qual è la colpa di chi ci lavora adesso?

Cosa sta facendo la Mittal per risolvere il problema del risanamento ambientale?

Sono state fatte le coperture dei parchi delle materie prime, da questo punto di vista gli interventi continuano. Le prescrizioni dell’Aia le stanno portando avanti. Un impianto così grande comporta dei ritardi che non sono colpa di nessuno se non della gestione dello stabilimento.​ I responsabili di queste attività sono dipendenti dello stabilimento e quindi hanno interesse a risolvere il problema.

Per il risanamento ambientale si parla di una spesa di nove miliardi. L’azienda li caccerà mai?

Da quello che sembra no. Andranno avanti fino a maggio poi decideranno. Il provvedimento della Procura della Repubblica di Milano è stato provvidenziale. Mentre prima la magistratura sembrava voler bloccare tutto adesso vediamo un atteggiamento più propositivo.

Se la Mittal dice che non vi sono risorse per pagare gli stipendi, credi che gli indiani siano disposti a spendere soldi da investire nella decarbonizzazione dello stabilimento investendo in nuove tecnologie?

Mittal se ne vuole andare, quindi altre ipotesi sono impensabili. Lo Stato dovrebbe incominciare a fare lo Stato e a prendere gli opportuni provvedimenti che forse non competono neppure alla Mittal che si è dimostrato un imprenditore non affidabile.

È vero che la Mittal ha svuotato i magazzini dei prodotti finiti?

Non ho idea sui prodotti finiti, ma il provvedimento della Procura di Milano in questo senso è molto preciso e quindi non c’è da dubitare che quello che ha evidenziato sia vero. Mi è stato riferito da un amico che aveva parlato con un dirigente che nei primi giorni di novembre gli ha detto: “Noi siamo come un amico malato di cancro e per quanto lo si voglia aiutare il destino è segnato. Lo stabilimento deve essere chiuso. Forse i Riva, con tutti i loro difetti, non sarebbero mai andati via, per lo meno volevano far funzionare la fabbrica.

È vero che siete abbandonati a voi stessi e che la proprietà è assente?

Siamo soli, anche nei quadri dirigenti c’è buona volontà. Ma lo Stato è debole. In Inghilterra la Thatcher decise di chiudere le miniere, non gli imprenditori. E se lo Stato vuole chiudere Taranto lo faccia. Altrimenti decida di fare ciò che è necessario per salvare la salute e la fabbrica. Chiudendo la fabbrica si perde l’1 ,6 di Pil, lo sanno tutti. Giocano su incrementi di Pil dello zero virgola ma gettano alle ortiche l’1,6%. Mi domando perché.

Perché i vertici sindacali hanno chiesto di parlare con il presidente della Repubblica e non con il capo del governo?

Dopo Mattarella non c’è più nessuno e i vertici sindacali lo hanno capito. Mattarella è una persona per bene.

(Beppe Sarno)

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