IL NUOVO CAPO DEL MOSSAD SI TROVA A RIVESTIRE UN RUOLO MULTIPLO

 Il 31 maggio David Barnea si insedierà ufficialmente come direttore del Mossad ed avrà subito molti file da aprire. Israele esce dal nuovo round bellico con Hamas, c’è grande pressione internazionale ed interna, attorno molto fermento.

Il nuovo capo ha il vantaggio di essere considerato un «continuatore», aperto alle idee e con un’esperienza ampia. Per lui «parla» il curriculum citato dai media israeliani. Sulla cinquantina, ha militato nella famosa Sayeret Matkal – l’unità d’elite per eccellenza, quella delle missioni speciali –, quindi trent’anni fa è passato nell’intelligence. Il primo incarico nei ranghi di Tzomet, il dipartimento che si occupa del reclutamento, poi l’impegno nell’ufficio che segue i target e si occupa delle infiltrazioni fino a diventarne il numero due. Tre anni fa la promozione a vice direttore a sottolineare il successo, confermato peraltro da una serie di episodi ormai noti.

La lista – ricordano gli esperti – è significativa. Ricordiamone alcuni. Il furto dell’archivio nucleare iraniano, la campagna contro la filiera di rifornimento bellico organizzata da Teheran, i sabotaggi a siti strategici sempre iraniani, l’aiuto agli Usa per uccidere a Teheran un alto esponente di al Qaeda e il generale Qasem Soleimani a Bagdad, quindi l’azione più clamorosa: l’eliminazione di Mohsen Fakrizadeh, il responsabile del programma atomico della Repubblica islamica.

In numerosi di questi eventi il Mossad si sarebbe affidato non solo ai propri agenti, ma anche a elementi stranieri ingaggiati in base ad una scelta decisa anni fa. Alcuni sanno per chi lavorano, altri neppure lo sospettano. Se Tel Aviv riesce a colpire in profondità è perché può contare su appoggi, informatori, «talpe» in territorio nemico.

Inoltre combina la tecnologia con il fattore umano. Inoltre, rispetto al passato, l’intelligence punta molto sulla guerra di informazione. Notizie, indiscrezioni, mezze conferme, smentite, silenzi ambigui accompagnano questa o quella mossa. Crea un’area grigia dove non c’è un’assunzione di responsabilità diretta, ma induce a pensare che ci sia realmente. Anche quando il coinvolgimento israeliano è puramente teorico o non esiste.

Tattica che serve ad alimentare le incertezze nell’avversario, che nel caso dell’Iran diventa una storia particolare: i successi del Mossad sono usati da una parte dell’establishment khomeinista nella faida politica interna, diventano colpe gravi da scaricare su coloro che sono incaricati della sicurezza.

Sarebbe ingenuo, parlando di una cosa segreta, ipotizzare il programma di Barnea. Possiamo solo immaginare le priorità, citate in modo unanime dagli osservatori. Intanto proseguirà nella lotta all’apparato che permette ad Hamas di potenziare il suo arsenale. Gli israeliani hanno fatto fuori alcuni tecnici all’estero, hanno bloccato alcune «vie», ma non è bastato. Le fazioni hanno tirato oltre 4300 razzi, ne hanno almeno altri 10-12 mila. Perché i palestinesi di Gaza li fabbricano nelle officine usando molto ingegno e le istruzioni arrivate da Teheran e Hezbollah.

C’è poi da parare la minaccia dei jihadisti – al Qaeda e Stato Islamico – che cavalcano quanto è avvenuto a Gaza e sulla spianata delle moschee a Gerusalemme. Per i «globalisti» della guerra santa è una nuova opportunità per entrare in un’arena dove sono minoritari.

Oltre al duello con i nemici, vi sarà uno sforzo per cercare nuovi amici, ovvero aprire rapporti con i paesi arabi. Un compito che prima ricadeva sulla diplomazia, ma sotto il direttore uscente Yossi Cohen è stato svolto dalla sua agenzia. In modo personale o quasi, con viaggi diretti. Il problema è che l’ultima fiammata nella Striscia ha reso tutto più complesso, almeno per una certa fase. Le offese ai luoghi sacri e le tante vittime non si possono dimenticare.

Importante il dossier delle relazioni bilaterali. Attualmente gli 007 israeliani hanno scambi con 150 paesi, c’è ovviamente la volontà ad aumentare l’elenco. A chiudere l’interazione con la Cia e l’amministrazione Biden. L’approccio verso l’Iran della Casa Bianca è osteggiato dallo stato ebraico, così come gli americani a volte non gradiscono i colpi sferrati da Israele se possono creare instabilità. Malumori espressi in privato oppure fatti trapelare con fughe di notizie. Il capo del Mossad si trova a rivestire un ruolo multiplo: collabora con l’alleato storico, condivide quello che vuole offrire, ma deve anche spiegare le «ragioni» del suo paese. E non è detto che su certi temi sia un compito agevole.

Infine quello che non sappiamo. Esiste sempre la possibilità di un evento imprevedibile dalle conseguenze massicce. Il Covid 19 ne è la prova e nella prima fase dell’emergenza anche il Mossad è stato mobilitato per procurarsi i vaccini.

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