Il prossimo febbraio, per la precisione il 12 e il 13, si svolgeranno le elezioni per i rinnovi dei consigli regionali del Lazio e della Lombardia.
Un test che in apparenza potrebbe apparire come una questione prettamente locale, anche se parliamo delle Regione in cui hanno sede le istituzioni nazionali e del territorio più industrializzato del Paese.
In realtà le cose non stanno così e la consultazione elettorale rappresenta, volente o nolente, un banco di prova per gran parte delle formazioni politiche e minaccia di avere potenziali conseguenze sia per la maggioranza che per l’opposizione.
Se analizziamo le prospettive e le possibili conseguenze ci accorgiamo che questa consultazione è in primo luogo un test, per verificare le condizioni di salute delle forze di opposizione all’esecutivo Meloni.
Tanto per cominciare, il quadro è alquanto contraddittorio poiché se in Lombardia abbiamo l’alleanza tra 5 stelle e PD, questa manca nel Lazio (nonostante l’alleanza di governo nella scorsa consiliatur).
Ancora se all’ombra del “Pirellone” il terzo polo è in competizione con Il PD schierando Letizia Moratti.
Eppure la posta in gioco per il PD è notevole; al di là del peso delle regioni in ballo. Un doppio successo, potrebbe aprire una prima crepa nell’esecutivo Meloni, laddove una sconfitta anche in una sola regione rischia di avere conseguenze pesanti. Soprattutto in Lombardia.
I Dem infatti sentono il fiato sul collo del movimento 5 stelle a trazione Conte e corrono il serio rischio all’indomani del test regionali di vedersi scavalcati, perdendo di fatto il ruolo di forza leader a sinistra.
Se questo non è un momento cruciale per la sopravvivenza del partito poco ci manca, perché inevitabilmente si aprirebbe la strada ad ulteriori lacerazioni, laddove sarebbe il caso invece di cominciare a costruire un opposizione dura, attrezzata per la lunga traversata del deserto che si prospetta.
Certo viene da dire che i democratici si sono cacciati da soli in questa situazione apparentemente senza sbocchi, perché quanto meno appare fuori luogo e diciamolo fuori da qualsiasi logica, un processo così lungo per l’elezione del nuovo segretario.
In definitiva, sarebbe stato opportuno, eleggere senza tanti bizantinismi subito un nuovo segretario, senza seguire le liturgie del congresso: questo non per una mancanza di democrazia ma perché il momento politico esige altro.
Non è infatti pensabile gestire un momento delicato come questo, con un segretario Letta ormai prossimo all’addio e dire che l’imminenza della consultazione era nota.
Passaggio solo in apparenza più semplice per il movimento 5 stelle, uscito si ridimensionato dalle ultime politiche ma tutto sommato indenne.
Sotto la guida di Giuseppe Conte la formazione grillina, dopo aver superato la crisi della scorsa legislatura, appare in ripresa ed attende la prova definitiva dal responso delle urne.
Ambizione, neanche tanto velata, di diventare la prima forza a sinistra e, perché no, dimostrarsi necessari per governare; oltre ad aumentare i voti nelle due regioni interessate.
E’ essenziale, anzi fondamentale, raggiungere l’obiettivo per la stessa sopravvivenza del movimento, ormai orbo della sua anima “ barricadera” delle origini. Il MoVimento oggi rischia, senza una precisa connotazione, di smarrirsi, forse, definitivamente.
Anche per il leader Giuseppe Conte la consultazione rappresenta un banco di prova da non sottovalutare, per la sua leadership; in caso di un risultato negativo, c’è da giurarsi riprenderebbero gli spifferi in favore di un cambio al vertice.
E magari chi sa, Alessandro Di Battista potrebbe avere la tentazione di scalare il movimento.
Insomma, piaccia o meno, il movimento 5 stelle è in un guado tra l’essere forza politica e forza di lotta perennemente all’opposizione.
Più o meno, fatte le dovute differenze, anche il terzo polo si trova in un momento cruciale e le elezioni in Lombardia e Lazio non sono affatto da sottovalutare per Calenda e Renzi.
Non fosse altro perché in terra lombarda, la scelta di schierare un candidato alternativo a quello del PD, rischia di consegnare alla destra per altri 5 anni la Regione, con conseguenze anche per le ambizioni del terzo polo.
E si perché, a quel punto, si pregiudicherebbe forse irrimediabilmente la potenziale alleanza con i democratici.
In ogni caso, per Calenda ed il suo sodale Renzi è fondamentale conseguire un risultato accettabile in termini di voti, soprattutto nel Lazio dove invece sono alleati del candidato del PD D’Amato.
Se i numeri, anche in caso di sconfitta, fossero comunque significativi, ebbene allora si potrebbe dire che il progetto ha un futuro, diversamente ci troveremmo davanti all’ennesimo partitino da prefisso telefonico.
Questo a prescindere dalla definitiva collocazione politica di Calenda e soci che potrebbe benissimo essere anche a destra.
Chiaro, prima o poi questa piccola incertezza verrà meno. Tuttavia partire da una posizione numericamente rilevante, agevolerebbe non poco il cammino.
Insomma il clima nell’opposizione è alquanto in fermento ed è foriero di cambiamenti, tutti. Chi più e chi meno, c’è molto da perdere. In ballo sia per i 5 stelle, per il terzo polo che per il PD c’è la stessa sopravvivenza.
Infatti le principali forze di opposizione, oltre ad essere dilaniate e divise al loro interno, invece di avere una strategia unitaria hanno inteso privilegiare rendite di posizione personali a discapito altrui, scelte che gli elettori non comprendono perché prive di una logica politica.
Come commentare altrimenti il fatto che il Partito democratico è alleato del terzo Polo nel Lazio e non in Lombardia mentre è in coalizione con i 5 stelle e in concorrenza con Calenda in Lombardia?
Ecco perché per molte forze politiche dell’opposizione le prossime elezioni regionali sono una sfida assolutamente da non sottovalutare.