Home In evidenza Trattativa stato-mafia, Claudio Martelli: è stato un “cedimento” e non una vera e propria “trattativa”

Trattativa stato-mafia, Claudio Martelli: è stato un “cedimento” e non una vera e propria “trattativa”

by Rosario Sorace

Claudio Martelli esprime il suo punto di vista sulla sentenza del processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia. Bisogna fare una considerazione generale sullo scontro di potere che vi sarebbe stato tra pm e carabinieri alla radice di questi processi e che sono, secondo Martelli, il simbolo di ambizioni personali malcelate.

“Purtroppo se i pm vogliono scrivere la storia politica si generano disastri. Loro devono accertare i reati”, dice Claudio Martelli in una intervista e nella sentenza d’appello “viene confermato che c’è stata una trattativa tra apparati dello Stato, nello specifico i Ros dei carabinieri, con esponenti di Cosa Nostra come Ciancimino, per avere informazioni utili per le indagini, evitare nuove stragi e catturare Totò Riina. Ma un conto è la trattativa di un privato cittadino, un conto è quella di rappresentanti delle istituzioni con mafiosi, per convincerli a collaborare con la giustizia, offrendo benefici. Qualcosa che si fa spesso, sempre…”, osserva con puntuale lucidità l’ex ministro della Giustizia.

A tal proposito Martelli ha ritenuto sempre che ci sia stato da parte dello Stato un “cedimento” e non una vera e propria “trattativa”.

“Nel maggio e poi nell’ottobre del ’93, quando il mio successore alla Giustizia Conso tolse dall’isolamento del carcere duro prima 100, poi 300 mafiosi fu un atto di cedimento, un errore politico gravissimo”, spiega Martelli.

“Ma non è un reato pensare, sbagliando, che così sarebbero finite le stragi”. Martelli non ha mai nascosto il suo dissenso sul proposito di stabilire contatti con Ciancimino.

“Mi lamentai con i superiori di Mori e Di Donno per la loro iniziativa, però al massimo si potevano individuare responsabilità professionali, disciplinari non certo penali. Avevamo appena varato la Dia e la Dna, per creare un coordinamento per i delitti di mafia tra intelligence, polizia, carabinieri e guardia di finanza. E invece Mori fece per conto suo. Chiesi perché non avesse informato i suoi superiori, lui poi spiegò di aver parlato con Subranni. Ma perché, invece, non informò il nuovo organo unitario?”.

Martelli afferma che “trattare con la mafia è altro. Qualche mese fa è stato liberato Giovanni Brusca, l’assassino materiale di Falcone, dopo una trattativa di anni perché collaborasse in cambio di un trattamento speciale, di sconti di pena. Una trattativa, appunto. L’intelligenza di questa sentenza non è che manda assolti tutti, ma che dice: non ci sono reati”.

E poi, esprime una critica sulla lunga durata decennale del processo: “Lo giudico un disastro. All’origine di tutto c’è la condotta della procura di Palermo, guidata da Gian Carlo Caselli. I carabinieri prima furono accusati di non aver perquisito il covo di Riina dopo l’arresto (risposero che volevano vedere chi andava lì), poi di aver favorito la latitanza di Provenzano. C’è una lotta infinita tra corpi dello Stato all’origine dei processi. I pm volevano riaffermare il loro potere sui carabinieri, dire noi comandiamo e voi siete sottomessi all’autorità giudiziaria”.

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