Home Attualità Se la poltrona non è per due ne resterà soltanto uno

Se la poltrona non è per due ne resterà soltanto uno

by Nico Dente Gattola

Le cronache politiche di questo periodo sono dominate dall’addio del Ministro degli esteri Di Maio ai 5 stelle, da tempo in contrasto con il leader pentastellato Giuseppe Conte.

Notizia che ad essere onesti, non meraviglia più di tanto, perché era chiaro che all’interno del movimento vi fosse spazio per uno solo dei due; del resto sono le leggi della politica perché non si è mai visto un partito in cui a dettare la linea sono in due.

Anzi, a pensarci bene era un esito scontato fin dalle prime battute: arrivato a Palazzo Chigi, complici i reciproci divieti tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini, Conte si era trovato quasi casualmente presidente del Consiglio e di riflesso in una posizione di livello nella politica nazionale.

Naturale era da quando era Presidente del Consiglio che si erano ravvisati i primi segnali di competizione con il delfino di Grillo e Casaleggio.

Aggiungiamo poi che il nominativo dell’ex premier si deve all’iniziativa dei 5 stelle ed il quadro è chiaro, poiché si comprende il dualismo tra i due e l’incompatibilità emersa in questi giorni.

I due esponenti politici, espressione della stessa forza politica, per assicurarsi un futuro politico personale dovevano per forza di cose controllare il movimento e quindi prevalere l’uno sull’altro.

Ora, fino a quando Conte era capo del governo, il conflitto era, si può dire solo potenziale, con l’avvento dell’esecutivo Draghi, la situazione è radicalmente cambiata.

Infatti, Giuseppe Conte, senza nemmeno lo scranno di parlamentare, si è ritrovato al vertice dei pentastellati, complici anche le difficoltà incontrate dal movimento nella legislatura.

Tanto più che il buon Luigi, sempre più assorbito dal ruolo di Ministro degli Esteri, impegnato a costruirsi una figura di “statista” internazionale e, quindi, gioco forza lontano dalle beghe di cortile della sua formazione, non aveva il tempo e la disponibilità per guidarne le sorti.

Certo, una domanda sorge spontanea: all’indomani dell’esito delle elezioni del 2018, per i 5 stelle non sarebbe stato meglio chiarire che la leadership era di Luigi Di Maio a costo anche di non andare al governo e per assurdo di subire i rischi di un nuove elezioni?

Chiaro, siamo davanti ad una strategia che ha peccato soprattutto, piaccia o meno, di una sostanziale inesperienza poiché, come detto, era fin troppo evidente che il ruolo di capo politico di Di Maio fosse di fatto messo in discussione.

Differente sarebbe stato se al momento della fine del Conte II, anche il ministro degli esteri avesse lasciato anche lui il governo ed avesse esercitato la propria leadership interna con chiarezza.

Azione che di sicuro sarebbe passata da una sorta di “ duello” politico anticipato con l’ex premier; il che non sarebbe stato un male; soprattutto per il movimento.

Infatti i 5 stelle in questo periodo hanno patito l’assenza di una guida forte, che ha amplificato le differenze tra l’area così detta “governista” e l’area di “lotta”, il che è stato francamente un problema anche in certi momenti per l’azione di governo.

Questo perché, il ministro degli Esteri, e tutti coloro che sono al governo, o gravitano in questa parte del movimento, sono inevitabilmente interessati a portare avanti l’azione dell’esecutivo.

Laddove invece Giuseppe Conte e i suoi, vuoi per calcolo politico, vuoi per convinzione, ritengono che vadano privilegiate le scelte del movimento anche a discapito dell’azione di governo.

Ma perché si è giunti ad una deflagrazione dei rapporti così repentina?

Semplice, ci avviciniamo alle politiche del 2023 ed entrambi i protagonisti hanno urgenza di guadagnarsi una posizione privilegiata al tavolo elettorale.

Giuseppe Conte al punto in cui è arrivato, pena il ritorno nell’anonimato, deve giocare la partita politica in prima persona, senza altre figure che possano minare il suo ruolo.

Luigi Di Maio, al contrario, potrà liberamente dedicarsi alla costruzione di quell’area di centro che appare come il traguardo naturale della sua lunga evoluzione politica.

La battaglia è appena cominciata ma da oggi si giocherà con maggiore chiarezza poiché ognuno dei due avversari avrà la possibilità di giocarsi autonomamente le proprie carte, con il responso finale affidato agli elettori.

Inevitabile, poi, il vincitore del confronto, sia pure a distanza, avrà annientato politicamente l’altro e potrà venire considerato il titolare dell’eredità politica dei 5 stelle.

Nell’attesa, senza timore di dover essere smentiti, si può dire che il futuro politico di Lugi Di Maio e Giuseppe Conte non è una poltrona per due.

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