In un momento così importante per il futuro del nostro Paese e ancor più per la nostra regione, tra le più povere d’Europa, è incomprensibile la negazione da parte dell’opposizione, alla costituzione di una cabina di regia per l’indirizzo della quota del recovery fund destinato all’Isola.
Non sono emersi veri temi di contrasto, se non un’inopportuna decisione del Presidente Solinas e un recupero, con una proposta legittima e auspicata, relativa alla costituzione di un comitato di esperti, che indichi gli ambiti di intervento, cui per altro siamo vincolati rispetto all’Unione europea.
La contrapposizione farfugliata e urlata dell’opposizione, parte di essa, non indica i temi, e non si sa neppure a cosa si è contrari, se non all’istituzione di tale comitato condiviso.
Maliziosamente siamo consapevoli che, more solito, i veri elementi della discordia siano di natura molto più meschina, di quello per cui i Consiglieri regionali sono chiamati a esercitare nel loro ruolo istituzionale nel parlamentino regionale.
Probabilmente non ci si accorda sui nomi delle persone, cui di tale cabina di regia dovrebbero far parte. Certo che sommare l’inerzia generalizzata a livello governativo a quella più marcata e, ahìnoi collaudata inazione regionale, non può che affossare ancora più la condizione economico sociale dell’Isola.
I temi su cui investire, secondo le strette disposizioni e i vincoli dell’erogazione di 209 miliardi di euro per l’intero Paese, non sono soggetti a opinabilità e tanto meno revisione della loro destinazione, secondo quelli che sono gli abusi che, il Paese e la nostra Regione hanno da sempre praticato.
In verità si parla poco e sommessamente a livello locale, del salto paradigmatico sul piano industriale, dei servizi, quanto dell’ambiente, cui i fondi europei della Next Generation sono destinati.
Del resto è quasi impossibile che, una regione dominata economicamente e politicamente da soggetti economici, che determinano il novanta per cento del PIL regionale, grazie a un business fermamente ancorato al passato e in contrasto con l’innovazione in corso in Europa, sia in grado di produrre azioni e definire il paradigma di cambiamento auspicato.
La nostra Regione è un coacervo di interessi, miserabili per certi versi, formalizzati e attuati attraverso un tessuto organico, economico e politico, quanto mediatico e intellettuale.
Un ambito in cui tutto si regge a discapito dei tanti, verso cui sono elargite, in misura clientelare, risorse e riconoscimenti.
Quando vediamo e constatiamo che i ragazzi dopo gli studi, o per completarli, oltrepassano il mare allo scopo di trovare un adeguato riconoscimento al loro lavoro e alla loro capacità intellettuale, dovremmo compiere una riflessione.
Non solo, ma capire che questo alla lunga determinerà, e ha già determinato, l’impoverimento culturale, professionale e intellettuale di un’Isola che suppone di bastare a se stessa.
Questa regione deve investire nell’ambiente, quanto e di più di tante aree del Paese visibilmente deturpate, perché in Sardegna insiste un territorio compromesso, militare e industriale, pari quasi ai due terzi della superficie globale dell’Isola.
Le dimensioni dell’Isola stessa, consentirebbero e consentono studi e sperimentazioni utili per l’intero Paese, quanto per il Pianeta in generale.
Aspetti che sfuggono da sempre alla gestione feudale di questa mirabile area geopolitica, ove al più ci si impegna a spartire i frutti del campo entro le mura, che alcuni servilmente coltivano.
In un esercizio opportunamente gestito dai canali di informazione locali, la cui dipendenza è rimandata alla proprietà di turno, l’efficacia del risultato è garantita dal rimbalzo delle notizie su altre testate minori e sempre locali, perfettamente ancorate a esigenze di sopravvivenza e riconoscimento.
Il riconoscersi nei vari ambiti e nei diversi ruoli di uno scacchiere minimo, disposta sul territorio, consente la gestione del circuito chiuso in cui esso è partorito, senza finalità di crescita, dalla quale gli esclusi continueranno ad arrancare o scappare.
Una visione minima cui non sembra riesca a rimuovere o mutare neppure l’università, di cui in proporzioni minime, ma importanti, è parte.
Del resto ricordiamo tutti la fallimentare gestione politica di un prorettore, che parve in origine una via possibile per scardinare un sistema privo di visione.
Negli anni si è riusciti a divorare e annientare anche chi, venticinque anni fa, avviò un importate progetto industriale per l’innovazione, avvalendosi del Crs4.
Non crediamo che una cabina di regia possa risolvere le ataviche e incancrenite tendenze di un sistema politico economico deputato al clientelismo, ma non comprendiamo perché non tentare di avviare un progetto, che potrebbe posare la prima pietra per un cambiamento auspicabile e significativo per le future generazioni.