Home In evidenza Sardegna: Decarbonizzazione e alternative, tante urla e poche idee

Sardegna: Decarbonizzazione e alternative, tante urla e poche idee

by Maurizio Ciotola

Alcune volte accade che editoriali interessanti e pertinenti, seppur non condivisibili, vengano pubblicati in un contesto temporale stridente.

L’altro ieri su un giornale regionale, ad alcune precise scelte energetiche, che non riguardano solo la Sardegna, venivano contrapposte argomentazioni sollevate da personaggi, distratti sul piano politico e verosimilmente altrettanto vaghi su quello tecnico.

Lo stridere con la situazione contestuale, “rovente” sul piano climatico, non depone certamente a favore di una contrapposizione animata da quel sentire populista, per nulla risolutivo.

La decarbonizzazione in Sardegna, come nel resto del pianeta, si è resa necessaria dallo scempio avviato in oltre cinquant’anni, in cui piegandosi al mito di una vertiginosa crescita economica, si è dato fondo al patrimonio naturale del Pianeta.

Nel contempo, ambientalisti e economisti di ampie vedute, che denunciavano i limiti di tale crescita, sono stati presi per folli da politici e tecnici, la cui limitata visione era ed è supportata, da quella precisa formula populista che ha caratterizzato lo sviluppo dell’Occidente.

Oggi, anche se nel 2025 dovessimo fermare tutte le centrali elettriche alimentate a carbone, il processo di alterazione climatico non potrà subire una significativa inversione di marcia, se non un minimo e altresì necessario rallentamento.

Abbiamo iniziato da tempo a pagare le drammatiche conseguenze di questa distruzione pianificata, e sempre di più pagheranno le classi sociali meno abbienti, quanto i popoli cui l’Occidente cerca di imporre il suo desueto paradigma di crescita.

Per contro, pensare a uno swich-off delle centrali elettriche a carbone per il 2025 in Sardegna, è utopistico quanto irrealistico.

Scienziati avveduti e tecnici competenti sanno bene che, in poco meno di quattro anni non è possibile mettere a punto le condizioni fattuali per la realizzazione di un’alternativa a tali produzioni.

Se idealmente è possibile tendere a un loro spegnimento, realisticamente tale fermata non potrà avvenire nel 2025.

L’obbligo cui l’Enel dovrà adempiere, che determinerebbe la fermata delle due centrali a carbone nel Sulcis, come dichiarato dal suo amministratore delegato, è inerente agli obiettivi nazionali e europei.

E del resto, Starace, l’Ad di Enel, respingendo l’ipotesi di una possibile conversione a gas, sembra mettere in campo un vecchio e collaudato gioco, cui politica e sindacati insieme agli industriali, sono più che collaudati.

Minacciare una chiusura, la perdita di posti di lavoro, professionalità, reddito in un’area dell’Isola che si colloca tra le più povere d’Europa, ha e avrà i suoi effetti, come da copione.

In fondo, se pensiamo che per anni, l’Alcoa prima e il suo mai riavviato stabilimento, donato insieme a svariati milioni di euro alla Sideralloys, ha macinato denaro pubblico per restituire briciole ai lavoratori, è lecito pensare che l’Enel avanzi altrettante pretese, per una eventuale conversione delle centrali.

Quando oggi si parla dei campi sottratti alla produzione agricola a causa dell’insediamento dei pannelli fotovoltaici, si afferma il falso, così come per quanto riguarda le aree sottratte per l’insediamento di pale eoliche.

Non solo, la reversibilità di tali siti sarebbe comunque immediata e senza alcun impatto ambientale irreversibile, come lo è invece per i siti industriali e militari, che incidono negativamente, sottraendo ambienti e salute al territorio isolano.

Ma del resto se un posto di lavoro genera morti e malattie irreversibili, degrado ambientale, danni nel breve e lungo termine, ancora oggi in questa regione non trova ostacoli al suo mantenimento.

Perché sia la politica che i sindacati, al cospetto di una imprenditoria irresponsabile e predatoria, verso cui non hanno più alcuna autonomia, da oltre tre decenni si sono privati delle loro capacità progettuali, proprie di chi li ha preceduti e ha saputo investire, ancorché lottare senza depredare il territorio.

Se la Sardegna è ancora oggi priva di un gasdotto con cui operare uno switch-off indolore, che avrebbe accompagnato la trasformazione del parco di produzione energetica nell’Isola, lo si deve a una politica corrotta e a un’imprenditoria che ha incamerato per anni, gli stanziamenti della mancata “gasificazione”.

Lo deve alle polemiche sterili e velleitarie, tese a ritardare qualsiasi processo di trasformazione, accolte sui giornali locali e assecondate da buona parte di docenti universitari, troppo spesso consulenti prezzolati di aziende poco propense a tale mutazione.

Se dovessimo quantificare i metri quadri sottratti dai pannelli fotovoltaici e le pale eoliche, ponendoli a confronto con lo sfacelo urbanistico, che gli imprenditori edili hanno determinato sull’Isola, radicando rendite di posizione, non avremmo dubbi su chi ha generato più danni all’agricoltura e alle bellezze della Regione, quanto all’intrapresa locale.

In ultimo, cosa possiamo aspettarci da una classe politica e intellettuale, al pari di quella imprenditoriale, attaccate alle mammelle della Regione, che oltre venticinque anni fa, hanno impedito la trasformazione dell’Isola nella Silicon Valley d’Europa?

Potrebbe interessarti

Lascia un commento