A stravincere la terza tappa delle primarie dei Democratici statunitensi in Nevada è stato Bernie Sanders, il 78enne che ha staccato di oltre 27 punti Joe Biden, che si è aggiudicato un secondo posto ottenendo un rispettabile 19,2% seguito da Pete Buttigieg che, lontano da quella prima vittoria in Iowa, ha conquistato un 15,4%. “Abbiamo messo insieme una coalizione multigenerazionale e multietnica che non ci ha fatto soltanto vincere in Nevada, ma che travolgerà il paese”. Evidentemente Sanders ha potuto contare sul sostegno dei cittadini di origine ispanica, che in Nevada sono circa un quarto della popolazione e che secondo i sondaggi prepotentemente hanno sostenuto il socialista dem.
Quel “vecchio saggio” era partito già bene in Iowa, dove aveva ottenuto un 26,1% di preferenze, appena uno 0,1% in meno rispetto al vincitore Buttigieg che aveva vinto con un 26.2%. Gli è andata meno bene nella seconda tornata elettorale nel New Hempshire, anche se in realtà ha poi vinto sugli altri candidati, dove ha totalizzato un 25,7%, uno 0,4% in meno rispetto allo Iowa.
E arriviamo a questa terza tornata elettorale, in Nevada, dove il socialista sbanca con un grandioso e quasi prevedibile 46,6%. Noto il suo programma e quei temi su cui da sempre si batte, ovvero il voler fortemente un sistema sanitario pubblico, così come chiede a gran voce l’aumento del salario minimo e una legislazione contro le armi.
Interessante e molto coinvolgente è stato il dibattito nel Nevada dove a fare la sua comparsa è stato Michael Bloomberg, già sindaco di New York City, entrato in nomination solo lo scorso 24 novembre (un po’ tardi rispetto agli altri candidati già in corsa). Si parlava, in effetti, di una sua ufficiale scesa in campo solo il prossimo 3 marzo, nel cosiddetto Super Tuesday, uno dei più importanti appuntamenti, se non il più importante (saranno infatti chiamati a votare 14 Stati, compresi Texas e California che sono i più popolati). Ma la sua brama di confrontarsi con Trump lo ha portato a partecipare al primo dibattito per le primarie del Partito democratico nel Nevada. Disposto anche a spendere milioni e milioni di dollari pur di battere il tycoon. Peccato che questa mossa gli abbia giocato un brutto scherzetto. Eh sì, perché Bloomberg non nasce come politico, piuttosto come uomo d’affari che relativamente povero è diventato ricchissimo e, come ogni businessman, salendo sul podio è diventato il bersaglio di tutti, avendo grossi scheletri nell’armadio. Come nel caso del suo “Stop & Frisk”, ovvero l’ordine dato ai poliziotti, quando era sindaco, di fermare per strada, interrogare e perquisire persone sospette.
Trump nel frattempo non si fa intimorire anche perché c’è da dire che il per esidente Usa ha investito molti soldi, più di quelli spesi dai candidati messi tutti insieme. Ma c’è di più, perché nel suo comizio serale in South Carolina, e siamo alla quarta tornata di primarie per la White House, Trump ha consigliato di votare per Bernie Sanders (primo perché le primarie in questo caso sono aperte e non è necessario essere registrati a un partito per votare e secondo perché in un sondaggio il socialista dem risulterebbe l’avversario “più debole”. Quindi la vittoria del Repubblicano sarebbe scontata (anche se oramai abbiamo imparato che in politica mai niente segue un ragionamento logico e soprattutto niente si dà per scontato).
In
attesa di conoscere i risultati in South Carolina già si parla di una vittoria di
Biden avendo egli in passato operato in quelle zone come vicepresidente con
Barack Obama e dove c’è un’alta concentrazione di elettori afroamericani molto
affezionati a lui.
La partita dunque è ancora aperta e soprattutto molto lunga prima di arrivare alla Convention Nazionale che si terrà a Milwaukee, Wisconsin, dal 13 al 16 luglio 2020 e dove si deciderà chi dovrà ufficialmente sfidare Donald Trump alle elezioni presidenziali del prossimo novembre.